Gli ipocriti maestrini dalla penna rossa e la doppia morale che sfocia nel ridicolo
Forti di un complesso di superiorità acquisito per militanza politica, a sinistra non perdono occasione per impartire lezioni, anche quando il buon senso consiglierebbe di tacere. Così, dopo aver contribuito a creare uno dei tanti miti di cartapesta che piacciono ai compagni, ovvero Aboubakar Soumahoro, quando si è scoperto che la simpatica famigliola di immigrati aveva qualche conto in sospeso, invece di fare ammenda per aver favorito l’ascesa dell’onorevole con i gambali sporchi di fango, la solita compagnia di giro dei giornalisti impegnati si è affrettata a difenderlo e con lui a proteggere la bella moglie.
La quale, mentre la cooperativa di cui faceva parte sfruttava i migranti, amava farsi fotografare con oggetti di lusso e anche mostrarsi senza veli davanti all’obiettivo. «Mi domando in cosa divergano le aspirazioni di Liliane Murekatete(compagna del sindacalista diventato onorevole grazie alla coppia Fratoianni-Bonelli, ndr) da quelle di Chiara Ferragni», ha scritto Concita De Gregorio su Repubblica. «Non vedo perché una giovane donna arrivata in questo Paese dal Rwanda non debba prendere appunti e provare a imitarla». Segue una predica sul corpo delle donne, usato e abusato per fare pubblicità, ma anche per fare battaglie politiche. A dare manforte alla maestrina dalla penna rossa è poi arrivato Michele Serra, sempre su Repubblica, che ha rilanciato: «Liliane Murekatete deve rispondere di quello che ha fatto, non di come si veste». Nemmeno, aggiungo io, di come si sveste. Ognuno è libero di mettersi in mostra come vuole. Tuttavia, dopo aver per anni frugato tra le lenzuola del leader di centrodestra, occupandosi di chi passasse nel suo letto, non si può all’improvviso indignarsi se le immagini in cui la moglie di Soumahoro si è gentilmente concessa nuda finiscono in prima pagina. O il corpo delle donne si può usare e abusare a seconda della fede politica a cui appartiene?
Ma soprattutto: che c’entra il paragone fra un’influencer e una giovane donna ruandese? La prima le borsette se le paga, la seconda invece è accusata di non aver pagato i migranti che lavoravano per la cooperativa di cui era amministratrice. La sostanziale differenza sta tutta qui. Se poi ti intesti la lotta contro lo sfruttamento e hai per compagno un signore che, dopo essere entrato in Parlamento con il pugno chiuso, alla domanda su come abbia trovato i soldi per pagare la casa che abita dice di aver messo da parte dei quattrini grazie al libro che ha scritto, i dubbi e le critiche vengono da sé, non c’è neppure bisogno di sollecitarli, perché se li pone chiunque non sia affetto da presbiopia politica.
Ma forse non si tratta di un difetto oculistico, bensì solo di una doppia morale, che spinge a essere inflessibili con chi non è di sinistra e indulgenti invece con i compagni di lotta. Sta di fatto, che prima di indossare i panni della difesa, prima di trasformarsi in indignati speciali con chi ha pubblicato le foto di Liliane Murekatete, De Gregorio, Serra e tutti gli altri paladini della giovane donna arrivata in questo Paese dal Rwanda dovrebbero leggere ciò che scrive il giudice delle indagini preliminari, chiamato a valutare i risultati dell’inchiesta aperta dalla Procura di Latina a carico di suocera, cognato e moglie di Aboubakar Soumahoro, nella sentenza in cui nei loro confronti è stata adottata la misura interdittiva: «I tre indagati, seppure allo stato formalmente incensurati, hanno mostrato elevata spregiudicatezza criminale nell’attuare un programma delinquenziale a gestione familiare protratto nel tempo». La magistratura, tra l’altro, nel corso dell’indagine ha anche disposto il sequestro di oltre 600.000 euro, frutto di profitti illeciti derivanti da operazioni inesistenti. Dunque, il problema non è come si veste o come si sveste Lady Soumahoro, ma se quelle borsette, quella vita ostentata fra oggetti di lusso e viaggi, era pagata con soldi suoi o con quelli pubblici destinati ai migranti.
Capisco che la domanda sia tranchant e che getti una luce sinistra sulla famiglia di colui che doveva diventare il nuovo leader del Pd, ma qui ci sono milioni svaniti nel nulla e interrogarsi è d’obbligo. Così come è naturale chiedersi perché nessuno nel Partito democratico, in Articolo Uno e nel resto della galassia rossa si sia mai accorto dei traffici di Antonio Panzeri con il Qatar, il Marocco e forse anche con altri simpatici Paesi del Golfo. A sinistra, come per Soumahoro si mostrano stupiti, anzi si dichiarano parte lesa, ma qui non siamo in presenza di una mela marcia, semmai di un cestino. Non passa giorno, infatti, che non spunti un nome nuovo. La magistratura belga verificherà le responsabilità di ciascuno, ma continuare a sostenere che si tratti di un caso di corruzione e non di un sistema che coinvolge numerosi esponenti della sinistra appare ipocrita. Mazzette e favori non hanno condizionato un parlamentare e qualche assistente, ma funzionari e onorevoli e tutti o quasi appartenenti al gruppo dei Socialisti e democratici europei, ovvero dello schieramento di maggioranza del Parlamento europeo. Per anni ci hanno insegnato che la politica ha l’obbligo di intervenire prima di una sentenza definitiva, evitando che il lavoro lo faccia la magistratura. Bene, c’è un solo modo per tenere fede a questo lodevole impegno: dimettersi. Un Parlamento dove molti suoi membri si facevano dettare la linea dai servizi segreti del Qatar o del Marocco (o erano distratti) non ha più alcuna legittimità. Rimane solo la dignità di fare le valigie.