«Con Talentware si premia il merito e si allena il talento dei lavoratori»

La startup nata a Milano a luglio del 2023, con l'utilizzo dell'intelligenza artificiale mappa le competenze presenti in un'azienda e individua percorsi di crescita professionale valorizzando le capacità di ogni singolo dipendente. Giacomo Marchiori, uno dei tre fondatori spiega: «Spesso le risorse se ne vanno non perché mancano le opportunità, ma perché sono un po’ nascoste. In un’ottica meritocratica di gestione del talento noi le aiutiamo a scovarle».
Come ormai qualsiasi aspetto della vita quotidiana, anche il mondo del lavoro procede di pari passo con l’evoluzione e l’avanzamento rapido della tecnologia. Sempre più aziende, per poter tenere il passo e non perdere competitività all’interno di un mercato molto complesso e ricco di player nazionali e internazionali, in particolare per quello che riguarda la gestione delle risorse umane, sentono quindi la necessità di appoggiarsi a professionisti in grado di soddisfare questa esigenza. È in questo contesto che si inserisce Talentware, una startup nata a Milano a luglio del 2023 con la mission di aiutare le aziende a far crescere i loro dipendenti attraverso l’utilizzo di una piattaforma costruita e basata sull’intelligenza artificiale, con processi di machine learning in grado di analizzare le competenze, gli interessi e le preferenze di ogni lavoratore preso in esame così da individuare percorsi di crescita professionale e valorizzare ogni singolo talento.
Per capire meglio come ciò avviene, ne abbiamo parlato con Giacomo Marchiori, uno dei tre fondatori di Talentware insieme ad Andrea Raimondo e Ismet Balihodzic.
Cos’è Talentware?
«È una forma di talent management che nasce per aiutare le aziende a coinvolgere, sviluppare e trattenere quelli che sono i talenti all’interno della propria organizzazione».
In che modo?
«Lo facciamo partendo da quella che è una mappatura delle competenze delle persone presenti all’interno dell’azienda sfruttando l’intelligenza artificiale e processi di machine learning, che ci permettono in brevissimo tempo di rilevare quelle che sono le competenze più significative dei profili che analizziamo e sulla base di questo andare a suggerire dei percorsi di carriera e di sviluppo personalizzati per ciascuno individuo».
Com’è nata la vostra idea?
«In primis si origina da quelle che sono state le nostre esperienze personali, perché comunque abbiamo vissuto tematiche di talent retention sulla nostra pelle, sia io che i miei soci, nel senso che abbiamo potuto lavorare per alcune delle aziende più importanti in diversi settori, per poi renderci conto che il percorso a cui ambivano era un po’ limitato o comunque non c’era visibilità su quello che l’azienda poteva offrirci e a volte era anche poco meritocratico perché poco basato sulle competenze. Il secondo input invece è stato quello di vedere le cose sia dal punto di vista del manager e sul fatto che lui stesso potesse avere visibilità sulle proprie risorse, sui punti di forza e di debolezza di ciascun individuo, sia da quello dell’hr (human resource, ndr)».
Quindi vi siete posti a metà per fare da interlocutore tra l’azienda e il lavoratore?
«Il nostro scopo nasce raccogliendo le esigenze di quelli che sono tutti e tre gli stakeholder del mondo del lavoro: il dipendente, il manager e il dipartimento hr, ognuno con dei punti di vista, delle attività e delle esigenze diverse, che però vengono raccolte in Talentware in un unico centro di riferimento».
Possiamo dire che aver unito le vostre esperienze vi ha aiutato a capire dove puntare?
«Questo ci ha dato una prospettiva in più da un punto di vista strategico di quanto fosse importante capire per un’azienda quello che si ha già in casa e poi come valorizzarlo, a beneficio sia del dipendente, nell’ottica della crescita di una persona coerentemente con le esigenze del mercato e con i propri interessi, sia in ottica dell'azienda per far sì che le persone rimangano produttive e che siano al posto giusto con le skills giuste».
Giacomo Marchiori (Talentware)
Insomma, Talentware aiuta a far crescere e allenare il talento?
«Sì, diciamo che in qualche modo il punto di partenza è capire dove si è e cosa si ha in casa e poi l’obiettivo è proprio quello: andare a sviluppare quelle aree dove si hanno delle lacune e valorizzare quelle dove si è già forti. Ma soprattutto, quello che per noi è importante, è avere l’utente finale sempre al centro della piattaforma, quindi pensare quelle che sono le funzionalità e l’utilizzo della piattaforma indossando i panni dell’utente, perché è quello su cui a mio avviso spesso le piattaforme storiche si sono arenate e del quale tanti si lamentano».
Ma esattamente, cosa significa gestire il talento e come si porta avanti nel tempo?
«Innanzitutto la prerogativa di Talentware è quella di democratizzare l’accesso allo sviluppo del talento in azienda. Significa che non si vuole limitare la possibilità di sviluppo solo a una certa parte della popolazione aziendale o solo a certi profili, ma si vuole mappare l’intera popolazione per fornire poi opportunità di crescita mirate. Questo per noi significa gestione del talento a 360 gradi in maniera democratica».
Cioè?
«È ovvio che tutto viene lasciato alla buona volontà e alla proattività della persona. Nessuno è obbligato a seguire un corso in più che viene suggerito, a fare un'attività di mentoring o a spostarsi in un ruolo che non sente suo. Però è chiaro che l’importante è avere visibilità e una traccia di quelli che sono gli sforzi che una persona fa. Cosa non scontata, perché seppur siamo nel 2024, molte aziende ancora non riescono a tracciare o lo fanno in maniera molto manuale tramite dei file excel che poi non permettono di avere questa tracciabilità continua. In un’ottica meritocratica di gestione del talento questo significa dare alle persone opportunità e visibilità, perché spesso le risorse se ne vanno non perché mancano le opportunità, ma perché sono un po’ nascoste».
E voi li aiutate a scovarle. Questo può fare la differenza nell’ambito delle risorse umane?
«Certo. La fa sia per il dipendente che per l’azienda. Spesso i talenti più ambiziosi sono quelli che hanno voglia di esplorare cose nuove, di crescere di pari passo con l'evoluzione della tecnologia o del mercato di appartenenza o comunque sentono la necessità di formarsi su aree di proprio interesse. Dall’altro lato, quello che l’azienda vuole è avere una forza lavoro sempre produttiva e aggiornata, perché questo tipo di evoluzioni e il cambio di competenze continuo comporta il fatto di dover rimanere al passo se si vuole rimanere competitivi come azienda rispetto a nuovi competitor, start-up, player che entrano da mercati esteri».
Voi come vi inserite in questa evoluzione del mercato del lavoro?
«Ci sono due aspetti. Parto da quello tecnologico: nel 2024 le persone sono abituate anche nella vita quotidiana a utilizzare un sacco di tecnologia, un sacco di app con interfaccia all’avanguardia e la possibilità di fare tutto con un clic. Poi però ci si ritrova in azienda con dei tool molti obsoleti a dover fare delle attività manuali, ridondanti, dispendiose che ti fanno tornare un po’ nella preistoria. L’altro aspetto è legato al mondo del lavoro: ci sono dati riportati di continuo da World economic forum, ma anche su scala nazionale, legati al cosiddetto “skill mismatch" che causa delle improduttività all’azienda e dei danni rispetto a quelle che sono le richieste del mercato, dove in determinati ruoli non ci sono competenze adeguate perché da un lato si fa fatica a trovarle, dall’altro magari non escono delle persone formate o ci sono delle specificità dell’azienda che richiedono che certe skills vengano formate all’interno, ma per questo serve tempo e che le persone rimangano in azienda».
Come si comincia un percorso con Talentware?
«Innanzitutto chi desidera intraprendere un percorso con noi può contattarci attraverso il nostro sito oppure i nostri profili LinkedIn. Una volta fatto questo si comincia a capire qual è la popolazione aziendale su cui si vuole andare ad agire, se partire direttamente dalla popolazione intera o se da una parte di questa come spesso si fa. Dopodiché la cosa più semplice è fornirci dei dati che sono già in possesso dell’azienda, per esempio nome e cognome dei dipendenti, ruolo ricoperto, funzione e organigramma aziendale, e sulla base di queste informazioni noi attiviamo la nostra tecnologia per andare a mappare quelle che sono le competenze più rilevanti».
Tecnologia basata sull’IA. Quanto è importante per voi?
«È fondamentale. Senza quella non dico che Talentware non avrebbe senso di esistere, però la componente digitale è importante, soprattutto nell’automatizzare e velocizzare una serie di processi che oggi sono prettamente manuali».
Per esempio?
«Per fare la mappatura delle competenze per un’azienda da un migliaio di dipendenti, servirebbero dai 12 ai 24 mesi. Con Talentware riusciamo a farla in 4-6 settimane. Già questo è un grosso risparmio di tempo grazie alla tecnologia. Ma anche un'altra attività rivolta ai componenti dei team hr, come per esempio la generazione e la creazione di job description sempre aggiornate rispetto alle esigenze dell’azienda, che di solito richiede un sacco di tempo e che noi con un clic grazie all’IA generativa e ai dati che analizziamo all’interno della piattaforma riusciamo a produrre in un istante, permettendo all’azienda di fare un recruiting più mirato».
Dopo la mappatura come si procede?
«L’azienda le convalida la procedura e poi c’è il cosiddetto “score di compatibilità” che Talentware offre, ossia dire quanto ciascun dipendente è compatibile con il ruolo che ricopre in azienda e con tutti i ruoli che sono stati mappati. A questi punto si sbloccano una serie di casi d’uso che vanno dai percorsi di carriera personalizzati ai percorsi di sviluppo ad hoc per ciascun dipendente, fino ai percorsi di successione, che dal punto di vista di un amministratore delegato sono fondamentali per assicurarsi che il know how rimanga in azienda e che non si resti scoperti nel momento in cui un manager esce o cambia posizione».
Che riscontro avete avuto fin qui dalle aziende?
«Diciamo che a luglio dell’anno scorso siamo partiti con i primi clienti, che sono quelli che hanno creduto in noi in una fase molto prematura quando il nostro progetto era ancora un’idea, e in questi 10 mesi sono diventati attivi sulla piattaforma a tutti gli effetti».
Si può fare, a quasi un anno dalla fondazione, un primo bilancio?
«Ci auguriamo di festeggiare il primo compleanno insieme a nuovi clienti. Diciamo che il livello di bilancio è sicuramente positivo perché non ci aspettavamo, considerando la complessità della nostra soluzione e il fatto di essere nuovi e giovani sul mercato, un tasso di interesse così elevato. A volte anche sorprendente per quello che è il mercato italiano, magari non tra quelli all’avanguardia, ma quello che noi vogliamo servire in primis sia per il legame con il nostro Paese che per le esperienze che abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Ovviamente le difficoltà non mancano perché in un percorso imprenditoriale sono all’ordine del giorno, ma diciamo che per ora sono i cosiddetti “happy problems”».