Carlo Verdone (Ansa)
Carlo Verdone: «Anche capolavori come “Via col vento” oggi non si potrebbero più girare. Roma è la mia città ma è ridotta a un luogo per aperitivi, ristoranti alla moda e vinerie. Il Giubileo? È una grazia per i tassinari».
Gabrielle “Coco” Chanel è stata "una delle due donne più influenti del XX secolo”, scrisse con una punta di esagerazione George Bernard Shaw, affiancando la creatrice di moda alla scienziata Marie Curie. Non c’è dubbio che Coco Chanel abbia rivoluzionato il mondo della moda, un settore maturo, riluttante al cambiamento e dominato dagli uomini, in una epoca in cui il ruolo delle donne soprattutto negli affari era visto con sospetto, se non con disdegno.
Chanel è stata oggetto di biografie e di innumerevoli analisi per il suo contributo alla moda e al costume. Raramente però è stato analizzato il suo percorso imprenditoriale. Alcune cifre bastano a ricapitolarne le tappe: partita da un’esperienza in un negozietto di provincia, avviò la sua prima attività poco più che ventenne come designer di cappelli nel 1909. Sette anni dopo, guidava già un’impresa con tre negozi e centinaia di dipendenti. Nel 1931 gli atelier erano 26 e i dipendenti oltre 2.000, con un giro d’affari da 120 milioni di franchi (pari a circa 60 milioni di euro, la cifra più alta allora di tutto il settore dela modo parigino). Nel 1935 il fatturato era quasi raddoppiato e i dipendenti erano 4.000. Tra l’altro, per prima Coco aveva intuito l’importanza di associare alla couture profumi e accessori, che si riveleranno poi un’importante fonte di finanziamento di tutto il business e che oggi per molte aziende del settore rappresentano la quota principale delle entrate.
Se le cifre parlano da sole, le ragioni di questo successo sono state raramente investigate in modo scientifico. Quali sono le condizioni che possono portare una outsider come Coco Chanel al successo, contro ogni aspettativa? I fattori cruciali individuati da due studiosi del Dipartimento di Scienze aziendali dell’Università di Bologna, della BBS e uno della NYU Stern School of Business sono tre: la sua esperienza, appunto, di outsider, non legata alla concezione dominante e agli schemi dell’alta moda parigina del tempo; la capacità di networking con esponenti dell’alta società di Parigi ma anche con l’avanguardia artistica che gravitava attorno alla capitale francese; un contesto in grande evoluzione, con i profondi cambiamenti imposti dalla Prima guerra mondiale, alla moda, ai costumi, al ruolo delle donne nella società.
Questo podcast di Ritratti racconta la sua storia. Buon ascolto.
Pace in Ucraina e in Medioriente, un pensiero a Cecilia Sala e alla libertà di informazione. E ancora lavoro, sicurezza, bullismo, violenza di genere. Il discorso del Capo dello Stato.
Per il capo dello Stato si tratta del decimo discorso di fine anno. Anche questa volta, come l'anno passato, le prime parole sono spese per la guerra. In un passaggio è chiaro il riferimento all'Ucraina: «La pace che non significa sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi con le armi, ma la pace del rispetto dei diritti umani, la pace del diritto di ogni popolo alla libertà e alla dignità».
Presto anche un pensiero per la giornalista detenuta in Iran, Cecilia Sala: «Interpreto, in queste ore, l’angoscia di tutti per la detenzione di Cecilia Sala. Le siamo vicini in attesa di rivederla al più presto in Italia. Quanto avviene segnala ancora una volta il valore della libera informazione. Tanti giornalisti rischiano la vita per documentare quel che accade nelle sciagurate guerre ai confini dell’Europa, in Medio Oriente e altrove. Spesso pagano a caro prezzo il servizio che rendono alla comunità». Una sponda, il Capo dello Stato la riserva anche alla sinistra quando parla di salari bassi: «I dati dell’occupazione sono incoraggianti. Resistono tuttavia aree di precarietà, di salari bassi, di lavoratori in cassintegrazione». Il capo dello Stato riserva grande attenzione ai giovani: «Un’attenzione particolare richiede il fenomeno della violenza. Tocca tutto il mondo ma diviene ancor più allarmante quando coinvolge i nostri ragazzi. Bullismo, risse, uso di armi. Preoccupante diffondersi del consumo di alcool e di droghe, vecchie e nuove, anche tra i giovanissimi. Comportamenti purtroppo alimentati dal web che propone sovente modelli ispirati alla prepotenza, al successo facile, allo sballo. I giovani sono la grande risorsa del nostro Paese. Possiamo contare sul loro entusiasmo, sulla loro forza creativa, sulla generosità che manifestano spesso. Abbiamo il dovere di ascoltare il loro disagio, di dare risposte concrete alle loro esigenze, alle loro aspirazioni».
Sulle condizioni delle carceri: «I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine. Su questo sono impegnati generosi operatori, che meritano di essere sostenuti». Sulle donne: «Non vogliamo più dover parlare delle donne come vittime. Vogliamo e dobbiamo parlare della loro energia, del loro lavoro, del loro essere protagoniste». E infine invita il popolo ad agire: «Perché la speranza non può tradursi soltanto in attesa inoperosa. La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte».