Il premier tiene sotto scacco i giornali con i soldi delle piccole imprese
Pronta (non certa) l'ulteriore proroga per l'abolizione della pubblicità legale. Un tesoretto da 110 milioni che le Pmi per legge versano sotto forma di spot dopo la vincita di un appalto. Senza, l'editoria soffrirà ancor di più.
Circa il 20% della pubblicità che finisce sui giornali è imposta per legge. Si tratta di oltre 100 milioni di euro, tutti frutto delle inserzioni legali che sono l'eredità di un passato lontano. Quando i ministeri italiani avevano solo le colonne dei quotidiani per diffondere le gare d'appalto andate a buon fine. Con tanto di committente. Un modo per rendere trasparenti le assegnazioni. Al meno questo era l'obiettivo.
Arrivato Mario Monti al governo, si decise che questa montagna di soldi non dovesse più essere sborsata dallo Stato ma direttamente dai vincitori delle gare. In gran parte piccole e medie imprese. Una tassa, in pratica.
Appena Matteo Renzi si insediò fece una promessa in una delle numerose slide sempre declinate al futuro. Avrebbe eliminato l'obbligo di pubblicità, consentendo l'uso dei siti on line dei ministeri. La slide vantava anche un risparmio per lo Stato di 120 milioni. La seconda promessa si è rivelata falsa da subito, perché come ebbe a precisare la Tesoreria dello Stato il risparmio sarebbe stato pari a zero. Era già infatti intervenuto l'ex commissario europeo Monti a rigirare i costi sulle Pmi. Mentre la prima promessa non è ancora stata mantenuta. Il governo sa bene che il 2016 si chiuderà con un monte pubblicitario che si aggira sui 700 milioni di euro. Di questi 110 sono quelli obbligatori e in gran parte vanno ai primi tre gruppi editoriali.
Il Sole 24 Ore, Rcs e il gruppo L'Espresso. Nel 2014 e nel 2015 la pubblicità legale ha reso complessivamente 120 milioni all'anno. Palazzo Chigi conosce altrettanto bene la situazione dei bilanci e sa che i colossi non possono rinunciare a questi soldi. Dunque il tira e molla è il modo migliore per tenere sotto scacco la carta stampata già abbondantemente dipendente dai contributi pubblici o dai sostegni indiretti come il regime monofase dell'Iva. Tant'è che poco tempo dopo le dichiarazioni pubbliche del governo un emendamento rinvia l'abrogazione al primo gennaio del 2016. L'anno successivo, a metà 2015, un altro emendamento (Pd e Forza Italia) cerca di cancellare l'abrogazione, ma viene sconfitto in seconda istanza. Al tempo a denunciare gli eventi ci pensò Il Fatto Quotidiano, segnalando per giunta le pressioni dei big del settore.
L'alert è caduto nel vuoto perché pochi mesi dopo arriva il magico Milleproroghe. Che come dice il nome rimanda le decisioni. Così tra un comma e l'altro l'abolizione della pubblicità legale è slittata al primo gennaio del 2017. Sempre nel medesimo decreto salta anche l'obbligo di tracciabilità elettronica delle copie, un nuovo sistema che certamente avrebbe reso più trasparente il settore e pure i costi della pubblicità.
Arriviamo a oggi. Inutile dire che il Milleproroghe si sta avvicinando. Rcs è dalla scorsa settimana nelle salde mani di Urbano Cairo il quale punta a sinergie e risparmi finalizzati al risanamento. Certamente un drastico taglio del monte pubblicitario (nella sua quota legale) non sarebbe gradito. Per Il Sole 24 Ore, il quotidiano di Confindustria che si appresta a chiudere la semestrale con una forte perdita, sarebbe invece una mazzata tra le gambe. Che andrebbe ad aggiungersi ai numerosi problemi che affliggono la testata. L'Espresso, il colosso dell'editoria italiana, naviga invece in acque del tutto diverse. I conti sono abbastanza buoni. Ma non bisogna sottovalutare il grande numero di quotidiani locali appartenenti al gruppo affamati di inserzioni legali, tutte quelle che dipendono dalle Regioni o dalle Città metroplitane. Voci di palazzo indicano che c'è già la manina pronta perché l'abrogazione del pacchetto pubblicitario slitti di un altro anno. Ma resta tutto nell'incertezza. E proprio nell'uso totalitaristico del dubbio che nasce la dipendenza. E all'intelligenza del premier queste sfumature difficilmente staranno sfuggendo.