La serie televisiva, al via stasera su RaiUno, racconta la storia dei sopravvissuti alla sparizione della barca Arianna, partita con 12 passeggeri e ritrovata dopo un anno presso le coste africane con solo sette sopravvissuti. Cosa è accadute realmente su quella nave?
Una barca vela, la promessa di una traversata transoceanica, 12 passeggeri, un antefatto che – sulla carta – sembra rievocare Agatha Christie, i suoi piccoli indiani, l’Orient Express. Sopravvissuti, coprodotta da Rai Fiction, France Télévisionse ZdfNeo, con Rodeo Drive e Cinétévé, è quel che Maria Pia Ammirati ha definito «una serie universale, che parte da un principio morale». Una domanda, la stessa sulla quale la Christie ha fondato la propria carriera di giallista. «Fin dove ti spingeresti pur di salvarti?», si è chiesta la direttrice di Rai Fiction, legando a questo solo quesito la ragion d’essere di Sopravvissuti, la sua capacità di trascendere generi ed etichette. La serie, al debutto su RaiUno nella prima serata di lunedì 3 ottobre, non è un giallo. Non solo. È un dramma costruito attorno alla psiche umana, alle sue profondità. E, nel dramma, ha deciso di celare un mistero.
Sono sorrisi e mani alzate a salutare i 12 passeggeri della Arianna, sulla banchina del porto di Genova. I volti dei familiari sono sereni, ne presagiscono il ritorno, la felicità. Riflettono una scelta che il tempo sembra averci insegnato a considerare sicura: un viaggio su una barca a vela, così elegante, così moderna. Sorridono, e di rimando sorridono i 12, Luca Giuliani (Lino Guanciale), Gabriele (Alessio Vassallo), figlio di Anita (Pia Lanciotti), Ispettore di Polizia, e Giulia Morena (Barbora Bobulova), a bordo con marito e figlio. Sorridono, ignari di quel che il mare ha in serbo per l’Arianna. La barca a vela, con i suoi lussi, non farà ritorno al porto di Genova. Scomparirà dai radar, per essere ritrovata un anno più tardi, sulle coste del Venezuela, l’equipaggio decimato e solo sette fra i dodici passeggeri vivi.
Cosa sia successo, nessuno fra i superstiti è in grado di dirlo. Parlano di una tempesta, una tragedia. S’è portata via, nella sua furia cieca, violenta, le vite di tanti. Li ha travolti. Distrutti. Qualcuno si è aggrappato alla propria esistenza. Ce l’ha fatta. Ma, di nuovo, come non è in grado di dirlo. «La serie non parlerà di cannibalismo, nessuno lo praticherà per sopravvivere», ha (r)assicurato la Ammirati nel corso della conferenza stampa, la stessa durante la quale è stato spiegato come l’incidente della Arianna sia un pretesto per indagare altro: l’animo umano, i suoi limiti e confini. «Questa serie tv ha come matrice Lost», ha dichiarato la direttrice di Rai Fiction. Ma Lost, quel gioiello durato sei stagioni, non è replicato in toto. Sopravvissuti, in cui Lino Guanciale ha detto di aver colto riferimenti a Homeland, capace di «raccontare una vertigine interiore profondissima», non parla della lotta per la sopravvivenza. Non di quella seguita all’incidente, quantomeno. Il disagio, le battaglie, lo sforzo epico per mantenersi vivi, nella fiction Rai, è quello di chi è tornato: tornato sulla terra ferma, ad una vita che sente non appartenergli. È lo sforzo epico, il disagio, la battaglia di chi ha visto cose che non può raccontare, di chi ha fatto cose che non può raccontare. È lo stress post-traumatico dei veterani, un topos letterario e televisivo cui la Rai, con Sopravvissuti, spera di dare un’impronta internazionale. «È una serie italiana che si afferma nel mondo. Non solo israeliani e sudcoreani, ma anche italiani», ha affermato Michele Zatta, capostruttura di Rai Fiction, spiegando come lo show sia già stato venduto all’estero.