2021-01-13
Fondi neri e tangenti . Indagati Google e manager di Leonardo
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Grazie all’American Jewish Committee e all'Associazione Italia Israele, alcuni studenti dell'Università degli Studi di Milano e di Torino hanno avuto l'opportunità di andare in Israele e osservare in prima persona la realtà di un Paese senza quei pregiudizi o falsità che hanno caratterizzato la narrazione degli ultimi mesi. Pur non diventando ciechi verso la tragedia che anche i civili di Gaza stanno attraversando.
Il 24 aprile scorso è stata la data in cui tutto ebbe inizio per noi: in quell’occasione si tenne presso l’Università degli Studi di Milano quello che sarebbe dovuto essere un dibattito sulla cancellazione degli accordi con le università israeliane. A quel dibattito partecipò quello che poi sarebbe diventato il nostro fondatore, Pietro Balzano, che venne contestato e zittito solo perché il suo intervento non era allineato con la narrativa della maggior parte dei presenti inclusi quelli che si presentarono come «mediatori di parte».
Quel giorno divenne chiaro che il dibattito nelle università non era più possibile e che era ormai impossibile anche solo presentare dati che confutassero la narrazione dei pro-pal… le occupazioni violente che seguirono in quei mesi ne furono la conseguenza. Ma ci sono tantissimi studenti che non condividono i metodi dei pochi che vandalizzano le nostre università, e abbiamo avuto la fortuna di incontrarci tutti a un presidio in piazza proprio contro le occupazioni (che avremmo dovuto tenere in università, ma spostato per il pericolo di violenze). In quell’occasione Studenti per le Libertà, Siamo Futuro, l’Unione dei Giovani Ebrei d’Italia e Studenti Liberali lessero il Manifesto scritto da Balzano dopo quell’esperienza e ne divennero firmatari; ci unimmo nonostante le nostre differenze per difendere ciò che ci rende cittadini di una democrazia: libertà di espressione, di parola e di pensiero, così come il diritto allo studio che per noi non è solo il diritto di avere la possibilità di imparare, ma anche di avere un luogo di amicizia e tolleranza dove poterlo fare serenamente, questo per noi sono le università.
La nostra iniziativa è poi cresciuta rapidamente: grazie all’impegno delle nostre associazioni abbiamo raggiunto studenti e rappresentanti di 20 diverse università dalla Statale di Milano alla Federico II di Napoli al Politecnico di Torino e tante altre; ci rendemmo conto che gli studenti di tutta Italia non erano con i violenti che vediamo quasi ogni giorno sui media, ma, al contrario, guardavano con vergogna e tristezza quanto succedeva nelle nostre università.
Decidemmo di reagire, ma non con i modi che abbiamo visto nei campus statunitensi che hanno portato a una vera e propria guerra; per noi essere cittadini ancora prima che studenti vuol dire rispettare la legge e non farci giustizia da soli, sebbene la tentazione davanti a certe immagini che uscivano dalle occupazioni sia stata forte…
L'incontro degli studenti italiani con il segretario generale del ministero degli Esteri israeliano
Il 25 novembre scorso abbiamo avuto la possibilità di presentarci alle istituzioni nel Senato della Repubblica, dove senatori e deputati del governo ci hanno espresso il loro completo appoggio, con dichiarazioni di sostegno in privato anche dall’opposizione; salvo pochissime eccezioni i pro-pal non avevano il supporto della politica eppure gli veniva e viene tutt’ora permesso di entrare nelle nostre università, fare danni anche nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro e poi andarsene come nulla fosse successo, lasciando il conto da pagare all’ateneo e accompagnando il tutto con una campagna di disinformazione nei confronti di Israele e una serie di assurde richieste di interrompere tutti gli accordi con le sue università che nulla hanno a che fare con il conflitto in corso.
In questa settimana ci è stata data l’opportunità, grazie all’American Jewish Committee, di sbugiardare tutte le menzogne che vengono dette su Israele durante un viaggio in cui abbiamo sperimentato la sua cultura, conosciuto le sue università e avuto contatti con la sua politica pur non diventando ciechi verso la tragedia che anche i civili di Gaza stanno attraversando.
Durante questo viaggio abbiamo compreso una realtà completamente diversa dalla nostra, un multiculturalismo intrecciato così profondamente da risultare quasi inverosimile, dei ragazzi come noi chiamati a difendere il proprio Paese e a proseguire nei loro studi contemporaneamente e la democrazia di un Paese che viene tutelata a tal punto da portare a cinque elezioni in tre anni.
Israele è una realtà che merita di essere conosciuta senza pregiudizi o falsità e speriamo davvero di poter riportare quella verità che lì abbiamo conosciuto in prima persona, in Italia e insieme a essa ridare vita a un vero dibattito sui grandi temi di attualità dove potersi confrontare liberamente e alla pari, come avrebbe sempre dovuto essere.
Maurizio Lupi: «Per contrastare la denatalità occorre risollevare il modello della famiglia tradizionale».
Quando sono in gioco temi urgenti, la frenetica e industriosa Milano si ferma e medita, riflette e cerca soluzioni. E ieri, presso il Consiglio regionale della Lombardia, si è tenuto il convegno dedicato all’unico vero grande problema europeo e, segnatamente, italiano: la denatalità.
L’analisi della situazione demografica italiana è ai limiti dell’allarmante. I dati Istat più recenti mostrano come nel 2023 le nascite della popolazione residente siano state 379.890, 13.000 in meno rispetto all’anno precedente, vale a dire meno 3,4 per cento; ossia, per ogni 1.000 residenti in Italia sono nati poco più di sei bambini.
Il tasso di fertilità si attesta a 1,24 figli per donna, ben al di sotto del livello di sostituzione generazionale, che invece è 2,1. Inoltre, la popolazione italiana è sempre più anziana: oltre il 23 per cento ha più di 65 anni; percentuale destinata a salire al 34,5 per il 2050. Un dato che pone l’Italia tra i Paesi più vecchi al mondo. Le conseguenze sono evidenti: aumento della spesa previdenziale, carenza di forza lavoro e depopolamento delle aree interne, soprattutto nel Mezzogiorno.
A peggiorare la situazione, si aggiunge il fenomeno dell’emigrazione giovanile. Venti anni sono bastati affinché tre milioni di giovani italiani lasciassero lasciato il Paese, privando il tessuto sociale di risorse vitali. Un circolo vizioso: meno giovani significa meno nascite, con un ulteriore aggravamento della crisi.
C’è chi ha pensato di arginare (e non risolvere) il problema, con assegni di mantenimento e piccoli bonus. Ma secondo Giulio Tremonti, intervenuto nel contesto del convegno, «non basta distribuire bonus una tantum. Servono politiche di lungo termine, che sostengano i genitori dal primo figlio e creino un ambiente favorevole alla natalità». «L’inverno demografico italiano», prosegue Tremonti, «è una conseguenza diretta di politiche miopi che per decenni hanno ignorato i segnali di declino. Dobbiamo intervenire sul fisco, perché un Paese che tassa pesantemente le famiglie non può sperare di crescere».
C’è da dire che negli ultimi tre decenni, da quando cioè si è fatta strada l’ideologia utopica della globalizzazione, molte coppie, o perché gravate dalle difficoltà economiche o perché, al contrario, allettate dalla possibilità di disporre liberamente del denaro e del tempo senza la responsabilità della prole, hanno anteposto altro alla famiglia. Per Maurizio Lupi occorre quindi promuovere una nuova narrazione della famiglia: «Non è solo un problema di soldi», spiega, «ma di percezione. Se non cambiamo l’immaginario collettivo, le famiglie continueranno a sentirsi sole e abbandonate».
Di avviso simile anche il professor Emilio Brogi, presidente dell’associazione Altero Matteoli, che ricorda: «L’emergenza natalità non è considerata come si dovrebbe, le famiglie hanno bisogno di ricevere aiuti più concreti. Noi abbiamo consultato i cittadini, sentito le famiglie. Chiedono più posti per gli asili nido, più aiuti per le spese per i testi scolastici, le spese mediche. Anche per capire le giovani coppie, le neo famiglie, che spesso non hanno aiuti in casa».
Poi c’è il caso di Milano, preso in considerazione da Stefano Maullu (Fdi). «Nel corso di vent’anni», sottolinea, «le nascite sono crollate di quasi il 25 per cento. È il minimo storico degli ultimi due decenni, segno di una tendenza negativa ormai consolidata. Per comprendere l’entità del fenomeno è necessario tornare ai primi anni del nuovo millennio. Nel 2004 le culle sotto la Madonnina contavano 12.462 neonati, oltre 3.000 in più rispetto a oggi. Negli anni successivi, il numero di nascite ha superato le 12.000 unità fino al 2010, per poi scendere a 11.547 nel 2011. Il declino è proseguito costantemente: nel 2018 si registravano 10.831 nuovi nati e nel 2019 il dato si attestava a 10.325. La continua contrazione delle nascite evidenzia una crisi strutturale, che richiede interventi mirati per supportare le famiglie e favorire la natalità. Politiche di sostegno economico, potenziamento dei servizi da per l’infanzia da parte dei comuni e misure per conciliare vita privata e lavorativa sono indispensabili per invertire questa rotta e garantire un futuro sostenibile per la città».
Con questa partita ci si gioca il destino del Paese.