Dati Terna: meno autonomi con l’alt al metano russo. A rischio il contributo sardo dopo la cessione di Saras. Allerta per l’estate.
Numeri alla mano, l’Italia continua ad avere un problema con l’energia. Meno elettricità da fonti tradizionali, più rinnovabili. Ma molto più fabbisogno dipendente dall’estero. L’ultimo report prodotto da Terna mette i dati nero su bianco. Nel 2023 il Paese ha richiesto poco più di 306 Terawattora. Circa 142 da fonti non rinnovabili, 112,7 da energia rinnovabile e il rimanente, 51,3, importati dall’estero. Tradotto in percentuali significa nell’ordine: 46,5%, 36,8 e 16,7%. Nel 2022 l’esposizione ai produttori stranieri era del 13,6 e l’anno prima nel 2021 ancor meno. Cioè del 13,4%. Prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, insomma, eravamo più indipendenti. O se si vuol dire in altre parole eravamo più autonomi dalla geopolitica. Purtroppo le scenario non si limita a questi pochi numeri. Più ci si addentra e più ci si rende conto che lo scacchiere è complesso e pieno di insidie. L’aumento delle rinnovabili è in gran parte trainato dall’idroelettrico. Di per sé è un bene perché è la fonte di cui siamo leader e che ci contraddistingue. Se non fosse che le norme del pacchetto liberalizzazioni approvate dal governo Draghi e collegate all’incasso degli assegni del Pnrr hanno previsto che le concessioni di dighe e fiumi debbano andare a gara. A nulla è servito il tentativo del Parlamento di ritardare uno schema che nessun altro Paese Ue ha voluto sposare.
Le concessioni idroelettriche altrove sono affare di Stato e nessun governo ha voluto creare una situazione pericolosa come quelle verso cui ci stiamo dirigendo. A breve infatti andranno a gara due grossi bandi e il rischio che finiscano in mano ad aziende estere è fortissimo. Tradotto in poche parole, scelte strategiche necessarie a bilanciare il nostro fabbisogno verrebbero prese molto lontano da Roma. Possiamo permettercelo? La risposta è no. Per capirlo vale la pena spulciare un altro report sempre firmato Terna. È il rapporto di adeguatezza relativo al 2023. A pagina 22 si spiega in termini semplici che cosa sia il margine di adeguatezza. Si tratta del valore matematico tra la somma della capacità di generazione elettrica disponibile, il livello di importazione dalle aree contigue (non solo Francia) e il fabbisogno aumentato della necessaria riserva terziaria. Il picco storico negativo è stato toccato a luglio del 2022, quando il valore ha raggiunto lo zero. O meglio gli zero gigawatt. Nel 2023 si è risaliti a 2,3 gigawatt. Comunque pochissimo. Il miglioramento in ogni caso è stato possibile non per un merito complessivo, ma per un demerito. Il Paese ha infatti visto scendere sensibilmente i consumi. La richiesta di energia sulla rete è diminuita del 2,8% rispetto al 2022 e addirittura del 4,3 rispetto al 2021. Le industrie consumano meno e, nonostante i rallentamenti dell’idroelettrico per via dell’abbassamento dei livelli dell’acqua il clima è stato mite e l’estate meno calda. Immaginatevi se quest’anno gli ultimi due fattori si invertissero: ci troveremmo con un margine di adeguatezza persino negativo. Ecco, essere dipendenti dall’estero in una tale situazione è come voler guardare a tutti i costi un programma tv, ma affidare il telecomando al vicino di casa. Senza contare che la diminuzione del termico e della percentuale di utilizzo di gas e altre fonti non rinnovabili apre un ulteriore tema, quello della continuità e stabilità dei flussi energetici. Ciò che i supporter del green omettono è che le rinnovabili non si accumulano e non danno garanzie in caso di picchi.
Le garanzie arrivano dalle fonti tradizionali al massimo con un adeguato mix di idroelettrico. L’Italia, dopo i maxi interventi Ue per sganciarci dal gas russo, è più instabile. Se come ci auguriamo la produzione industriale dovesse tornare a crescere che succederà? Avremo dei blackout? Speriamo che la domanda resti retorica.
Purtroppo nelle ultime settimane abbiamo perso un tradizionale pilastro che andava sotto il nome di Sardegna. L’isola, come è facilmente consultabile nei report sopra citati, è stata negli anni e soprattutto nel 2023 esportatore netto di energia verso la Corsica, ma soprattutto verso la Toscana e il Lazio. Ha contribuito a sostenere il continente. Ora la Sardegna non è più italiana. Nel senso che i due più grandi produttori sono in mano straniere. Da sei anni il polo di Fiume Santo è controllato da Daniel Kretinsky, esperto trader di energia originario della Repubblica Ceca. Mentre è di stretta attualità il passaggio delle quote di riferimento della Saras della famiglia Moratti al trader olandese Vitol. Al di là dell’operazione finanziaria non è dato ancora conoscere le strategie che l’acquirente vuole mettere in campo. Fino a oggi la questione golden power è stata solo sfiorata. Sarebbe invece fondamentale che lo Stato si garantisse il controllo della Sardegna. Garantisse in altri termini che continui a irrorare le aziende toscane e laziali. Ecco che sarà sempre più importante investire su nuove infrastrutture, ma tenendo d’occhio il criterio della sovranità energetica. Ieri, Terna ha diffuso i dati sugli investimenti. Nel corso del 2023 sono stati autorizzati dal ministero dell’Ambiente e dagli assessorati regionali 23 interventi per lo sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale, per un valore complessivo di oltre 3 miliardi di euro. Bene. Purtroppo però il decreto Sovranità energetica, partito con le migliori intenzioni, è approdato in Aula pieno di lacune e senza le adeguate direttive sulla strategia complessiva. Bisogna investire su nuove infrastrutture (non basta mettere a sistema le vecchie) che rafforzino le non rinnovabili e la produzione in casa. Un’altra guerra, un’estate torrida o un capriccio straniero ci lascerebbero con le brache calate.