
«Mi atterrisce l’idea che io abbia potuto manipolare una giovane, la cui sorte mi ha coinvolto e impegnato, per ingannare la giustizia minorile». Nell’ultima udienza del processo d’appello, in corso a Bologna, così s’è difeso lo psicologo piemontese Claudio Foti: giurando di non aver fatto nulla di male. Coinvolto dall’estate 2019 nell’inchiesta «Angeli e demoni» sui presunti allontanamenti illeciti dei bambini di Bibbiano, oggi Foti nega soprattutto di aver causato danni psicologici a Valeria, una dei suoi giovanissimi pazienti.
In realtà, proprio per le lesioni personali aggravate inferte alla ragazza, alla fine del procedimento-stralcio che ha separato la sua posizione da quella degli altri 17 imputati ancora sotto processo a Reggio Emilia, nel novembre 2021 il fondatore del Centro Hansel e Gretel è stato condannato in primo grado a 4 anni di reclusione, più 2 di sospensione dalla professione e 5 d’interdizione dai pubblici uffici. Ma nell’ultima dichiarazione in aula, davanti ai giudici della Corte d’appello, Foti ha continuato a negare tutto: «Io ho solo cercato di aiutarla; non le ho mai imposto alcuna verità», ha assicurato. «L’ho solo aiutata a entrare in contatto con la sua infanzia, con cui doveva riconciliarsi. Ho cercato di darle consapevolezza, non dolore. Le ho dato la forza per liberarsi, non la sottomissione per fare di lei una persona plagiata da me».
Da circa 40 anni alla testa di una scuola psicologica certa che il fenomeno familiare degli abusi sui minori in sia una realtà infinitamente più diffusa di quanto si pensa, Foti continua insomma a proclamarsi professionista serio, scrupoloso, sereno: «Chiunque vede le videoregistrazioni che io stesso ho scelto di consegnare (alla magistratura, ndr)», ha detto in aula, «può constatare e verificare il mio coinvolgimento emotivo, la partecipazione affettiva nella cura. Chiunque può constatare e verificare il mio profondo rispetto delle emozioni della paziente».
E allora vediamole, un po’, queste videoregistrazioni. Va ricordato che Valeria oggi è maggiorenne, e che negli interrogatori resi nel 2019 al pubblico ministero Valentina Salvi ha negato di aver subito violenze sessuali in famiglia, ma tra il 2016 e il 2018 è una dei tanti adolescenti cui Foti pratica le sue terapie: il Tribunale dei minori di Bologna gliel’ha appena affidata perché le relazioni degli assistenti sociali di Bibbiano suggeriscono che Valeria sia stata abusata dal padre e da un suo socio, e quindi si deve decidere sulla potestà genitoriale e sul possibile affido di Valeria a un’altra famiglia.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado si legge che, fin dalle prime sedute, Foti ha «dato per assodato» che Valeria abbia «subìto qualcosa di orribile da bambina». Ecco per esempio alcune delle frasi pronunciate dallo psicologo nel secondo incontro con Valeria: «Devi aver partecipato a cose incredibili, a cose impensabili […]». E poi: «[…] soprattutto se tu hai avuto esperienze brutte con più di una persona…». E ancora: «[…] in effetti è un’esperienza che non è facile rivivere, perché è stata umiliante […]». Il giudice sottolinea che è Foti ad avere «introdotto per primo il tema della violenza e dell’abuso» sessuale, per esempio ricordando a Valeria «qualcosa di molto, molto, molto brutto che deve avere condizionato la tua storia infantile». Scrive, il giudice, che lo psicologo le si rivolge definendola «una sopravvissuta». E ogni volta che Valeria mostra incertezze, Foti la incalza: «Sappi che è normale, quando c’è un trauma, che la memoria sia scombussolata […]». A volte lo psicologo cerca perfino di ampliare gli episodi dei presunti abusi: «Io ho la sensazione, ma per carità non voglio appesantire il quadro, che possano esserci state addirittura anche altre violenze […] o mi sbaglio?».
Nelle sedute, Foti continua a denigrare la figura paterna di Valeria: «Se incontrassi tuo padre, ma non te lo auguro […]». Insiste, le ricorda che il genitore «invece di proteggerti, addirittura ti portava […] ti consegnava nelle mani di una persona che abusava di te!». E visto che la madre di Valeria nega l’ipotesi che il marito possa aver fatto nulla di male alla bambina, ecco che nell’opera demolitoria dello psicologo entra anche la figura materna: «Mi colpisce che tua madre continui ad avere di tuo padre un’idea tutto sommato positiva», dice Foti, perché «è giusto il ragionamento che è pur sempre tuo padre, ma se un padre si comporta in modo violento […]».
Fino a quando la difesa di Foti nell’estate 2019 non ha deciso di depositare agli atti del processo 20 ore registrate di quelle sedute (una decisione che s’è rivelata un incredibile boomerang giudiziario), la Procura di Reggio Emilia aveva a disposizione solo un’intercettazione ambientale, svolta durante la psicoterapia del 27 ottobre 2018. Nelle carte dell’inchiesta si legge che in quella seduta «Foti convinceva la minore dell’avvenuta commissione degli abusi ai suoi danni durante l’infanzia, circostanza fino a quel momento non presente nei suoi ricordi, e che l’abusante era suo padre». Quel giorno, Foti utilizza anche l’Emdr, la cosiddetta «macchinetta dei ricordi»: Valeria tiene con le mani due fili, che escono dall’Emdr e le danno lievi impulsi elettrici, e intanto Foti parla, parla, muovendole continuamente davanti agli occhi l’indice, da destra a sinistra e da sinistra a destra. Anche in quel caso, le domande dello psicologo non sembrano proprio neutrali. In pratica, è solo lui a parlare. Valeria non risponde quasi mai. Tutt’al più pronuncia monosillabi. A volte annuisce, a volte sorride. È un’atmosfera strana, che fa pensare a una seduta ipnotica. «Tu vieni al mondo», dice Foti a Valeria, «e come tutte le bambine provi ad avere fiducia nel mondo dei grandi […] e sei tradita […] Già l’impatto con tuo padre ti rende incerta, perché un po’ ci credevi […] Come ogni bambina credevi a tuo padre, e vivi impatti con l’esperienza pesante e violenta, che ti fa perdere fiducia […] Non credi in tuo padre […] ci credevi […] non ci credi […]». Poi lo psicologo colpisce al cuore: «Tuo padre ti aveva proposto sesso e violenza, da quel che sappiamo […]». Foti la chiama «partecipazione affettiva nella cura».






