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Scintille in conferenza stampa, il premier punge: «In passato eravate meno assertivi».
Anche se questo approccio guadagna popolarità, le aziende farmaceutiche sconsigliano ai pazienti di aggiustare i dosaggi. Perchè il microdosaggio è un’arte inesatta. Eppure sono molti i medici a ritenere che le micro-dosi di farmaci anti obesità possano offrire benefici per la salute oltre alla perdita di peso.
Alcuni le ritengono dosi talmente minime da definirle omeopatiche. Si sta dimostrando che possa offrire benefici per la salute senza gli effetti collaterali delle dosi piene. I microdosaggi non causano infatti una perdita di peso drammatica, o forme di dipendenza, o effetti collaterali indesiderati. Ad essere microdosati sono famraci ormai noti di cui si è scritto ampiamente anche su queste colonne, adesso si scoprono nuove frontiere e nuovi limiti di questo farmaco. L’Ozempic, prodotto da Novo Nordisk, è nato come farmaco per il diabete. Il suo principio attivo, il semaglutide, appartiene alla classe di farmaci noti come GLP-1, che imitano la sensazione di sazietà dell’intestino. Il suo successo come farmaco dimagrante è stato un effetto collaterale inaspettato ma benvenuto per molti. Quando il farmaco semaglutide Wegovy è arrivato sul mercato per la prima volta nel 2021, è diventato il primo farmaco dimagrante a ottenere l’approvazione della FDA dal 2014 ed è diventato immediatamente il trattamento dimagrante di riferimento. Al centro di questi farmaci ci sono due ormoni chiave, a seconda del farmaco: GLP-1 (peptide-1 simile al glucagone) e GIP (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente). Questi ormoni naturali svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell’insulina, dell’appetito e del metabolismo. L’entusiasmo non riguardava solo la perdita di peso. Uno studio fondamentale del 2023 ha rilevato che semaglutide ha ridotto gli eventi cardiovascolari maggiori del 20%, anche nei pazienti senza diabete. Forse la cosa più sorprendente è stata una riduzione del tasso di mortalità del 19% per qualsiasi causa. Considerando che oltre il 70% degli adulti americani sono affetti da obesità o sovrappeso – condizioni che aumentano il rischio di infarto, ictus e morte prematura – questi risultati suggeriscono che iniettarsi Ozempic, o qualsiasi altro marchio di semaglutide venduto, potrebbe offrire significativi benefici per la salute a lungo termine.
La popolarità ha portato a prezzi alle stelle, carenza di offerta e, in alcuni casi, misure disperate da parte di coloro che cercano di perdere peso. Il microdosaggio nasce anche dalla necessità quindi di riuscire lo stesso a seguire la terapia risparmiando del denaro.
Il microdosing non è un concetto nuovo. Per anni, è stato associato all’uso di sostanze psichedeliche in dosi minuscole per migliorare la creatività o la produttività. Ma applicare questa pratica a un farmaco come l’Ozempic è una novità che sta facendo alzare più di un sopracciglio nella comunità medica. difficile infatti microdosare un farmaco che vine venduto in penne precaricate. Il Times che ha condotto un'inchiesta su questa nuova tendenza ha parlato con diversi consumatori e ognuno di loro aveva approcci diversi: restare più vicini alla dose iniziale di 0,25 milligrammi, ridurla fino a 0,1 milligrammi o semplicemente astenersi dall'iniettare il farmaco ogni sette giorni come raccomandato. Mentre il “microdosing Ozempic” si unisce al lessico di termini di bellezza dal suono più delicato come “baby Botox” e “mini lifting del viso” che fanno sembrare le procedure più accessibili, la realtà è che alcune persone vedono benefici da dosi più basse. Anche se questo approccio guadagna popolarità, le aziende farmaceutiche sconsigliano ai pazienti di aggiustare i dosaggi.
"Le dosi approvate sono gli unici dosaggi studiati come dosi di mantenimento nel nostro programma di sviluppo clinico di fase 3. I prodotti non sono intercambiabili e non devono essere utilizzati al di fuori delle indicazioni approvate", riferiscono gli esperti. La dottoressa Vijaya Surampudi, direttrice associata della Clinica medica per la gestione del peso dell'UCLA, lavora con pazienti che desiderano mantenere dosi più basse e sottolinea che le risposte dei pazienti a questi farmaci variano ampiamente e la necessità di dosi più elevate non è necessariamente correlata alla quantità di peso che bisogna perdere. Insomma il microdosing è ancora in fase di studio, “Non esiste una soluzione valida per tutti”, ha detto. Bisogna quindi monitorare attentamente la reazione di ogni persona al farmaco, adattando l’approccio in base alla risposta unica del proprio corpo.
Dal «Tarzaning» alle passeggiate tra la neve, a Natale si riscopre il fascino delle fiabe e dei Grandi Classici.
Il Natale è il periodo dell’anno in cui l’aria si riempie di magia. La neve che scende leggera, il silenzio avvolgente dei boschi e la bellezza incontaminata della natura ci invitano a immergerci in scenari da sogno, dove le avventure prendono vita.
È il momento perfetto per immergersi in scenari incantati da fiaba e riscoprire il fascino dei Grandi Classici, dove grandi e piccoli possono vivere avventure che richiamano il mondo dei racconti magici e i film di animazione più iconici di sempre.
Se avete amato le storie di eroismo e avventura di Balto, una corsa in sleddog è l’esperienza perfetta. Guidare una slitta trainata da husky attraverso un paesaggio innevato vi farà rivivere l’epica impresa del protagonista del film omonimo, il cane che ha sfidato il gelo per salvare vite umane. Questa attività è ideale per chi vuole mettersi alla prova e immergersi nella bellezza incontaminata dell’inverno, diventando un musher per un giorno.
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Ideale anche per i più piccoli, una passeggiata tra la neve, con le ciaspole ai piedi, permette di esplorare boschi silenziosi e paesaggi candidi, proprio come il regno di Frozen. Questa attività è perfetta per le famiglie che desiderano vivere la bellezza dell’inverno senza rinunciare al fascino dell’avventura, in un’esperienza che riporta a quel mondo incantato che ha affascinato grandi e piccoli.
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Per chi cerca un’esperienza tenera e rilassante, una passeggiata con gli alpaca è l’ideale. Questi animali dolcissimi diventano compagni di viaggio tra i boschi, evocando l’atmosfera di Cappuccetto Rosso e il suo legame con la natura. L’esperienza, offerta sulla piattaforma Freedome, include anche una visita alla fattoria didattica, per conoscere altri amici del bosco e vivere un’avventura immersiva e indimenticabile.
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Per gli aspiranti maghi di casa, un’esperienza di falconeria è il regalo perfetto. Trascorrere del tempo con rapaci affascinanti è come entrare nel mondo di Harry Potter, dove il volo dei falchi e delle civette richiama l’iconica figura di Edvige. Una giornata da falconiere è un’avventura che combina magia e natura in un mix unico e coinvolgente.
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Per chi ama l’avventura e vuole riscoprire il bambino che è in sé, il Tarzaning offre l’opportunità di muoversi tra gli alberi con funi, ponti sospesi e carrucole. Questa attività adrenalinica è perfetta per chi cerca un Natale diverso, tra divertimento e natura.
Neanche il 45% del metallo prezioso si trova a Palazzo Koch. Il resto è custodito tra la Bank of England, la Fed e Berna.
Quanti dobloni ci sono nei forzieri della Banca d’Italia? A quanto ammontano le riserve auree del nostro Paese? Dove sono dislocate? E il resto del mondo com’è messo in fatto di oro?
La riserva aurea di una nazione è l’insieme dei fondi di oro detenuti dalla banca centrale. Tale riserva è considerata una risorsa strategica: questo perché l’oro è tradizionalmente visto come un bene rifugio, che conserva il suo valore anche in tempi di crisi. Quanto più sono colmi i bauli di un Paese, tanto più, di norma, essi sono visti come un indicatore della sua solidità finanziaria e della sua capacità di onorare i debiti internazionali. Questo perché dalle riserve auree dipende la capacità di uno Stato di fornire garanzie ai propri partner commerciali e di chiedere prestiti nei momenti di difficoltà.
A riprova dell’importanza di possedere una riserva aurea ingente, anche l’Italia, talvolta, ha dovuto dar fondo al suo tesoro per far fronte a difficoltà economiche. Nel 1976, in piena crisi petrolifera, il nostro Paese chiese un prestito alla Germania di 2 miliardi di marchi. Prestito che, su indicazione dei Tedeschi, fu concesso soltanto a una condizione: il deposito dell’equivalente somma in oro, per un valore di 543 tonnellate.
Ma forse non tutti sanno che l’Italia non si qualifica affatto male nella classifica dei Paesi detentori di quel bel metallo giallo, raro e luccicante: dopo gli Stati Uniti, medaglia d’oro in fatto di possedimenti (nei caveau della Federal Reserve ci sono 8.133 tonnellate di lingotti), e dopo la Germania, che ne ha 3.352 tonnellate, noi ci posizioniamo sul terzo gradino (quarto, in realtà, se consideriamo il Fondo monetario internazionale, con un patrimonio di 2.814 tonnellate di metallo prezioso), con 2.452 tonnellate, costituite da oltre 95.000 lingotti, di peso variabile tra i 4,2 e i 19,7 chili, e per una parte minore da monete. Lingotti e monete provengono da epoche e parti del mondo differenti: alcuni pezzi giungono dall’Inghilterra, altri dagli Stati Uniti e dalla Russia e altri ancora hanno come marchio di emissione l’aquila che tiene la svastica, segno inconfondibile della Germania nazista. Dopo di noi seguono la Francia, con 2.437 tonnellate, la Russia, 2.336, e la Cina, 2.264, rispettivamente al quinto e sesto posto.
Eppure, non tutto l’oro italiano si trova effettivamente nella «Sagrestia», così si chiama il caveau, a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Anzi, ad essere precisi, meno della metà del totale è custodito a Roma. Di quelle 2.452 tonnellate, 141,2 dormono sotto il letto del Tamigi, conservate nei forzieri della Bank of England di Londra; 149,3 si trovano alla Schweizerische Nationalbank di Berna, la Banca dei regolamenti internazionali; e 1.061,5 tonnellate sono conservate alla Fed di New York. Stiamo parlando di più del 55 per cento di oro custodito all’estero. Tale scelta deriverebbe da strategie di diversificazione finalizzate alla minimizzazione dei rischi e dei costi. Infatti, un quantitativo delle riserve viene custodito in prossimità delle principali piazze dove viene negoziato l’oro al fine di avere la possibilità, in caso di necessità, di poter vendere rapidamente e di minimizzare i costi legati al trasporto del metallo.
Eppure, tale dipendenza da custodi esteri solleva interrogativi sulla reale autonomia economica dell’Italia: in uno scenario di crisi internazionale, sarebbe davvero possibile recuperare il controllo di questo oro?