Crociata degli intellò contro le pale eoliche: il green è molto chic, se non tocca casa loro
Ci voleva Orvieto. Ci voleva che le pale eoliche toccassero le colline umbre e i casali chic perché gli intellettuali si risvegliassero dal loro torpore e si accorgessero che cospargere l’Italia di mammozzoni d’acciaio e silicio chiamati pale eoliche non è proprio il modo migliore per difendere l’ambiente. Da tre anni e mezzo (il via libera è stato dato dal decreto semplificazioni di Mario Draghi, nel maggio 2021) l’intera Penisola è stata massacrata: agricoltori e allevatori calpestati, terreni espropriati - da società private, spesso facenti capo a multinazionali - senza possibilità di opporsi, intere coltivazioni distrutte, ulivi secolari abbattuti, agrumeti espiantati, campi di mais e risaie devastati, pescatori rovinati. E nessuno, dico: nessuno, che abbia mai sollevato non dico una protesta, ma nemmeno un velato dubbio, un sussurro di indignazione. Poi le pale eoliche sono arrivate a Orvieto. E all’improvviso 100 intellettuali, filosofi, attori, scrittori, tutta la crème dell’intellighenzia de noantri, in pratica, si sono ribellati, rivolgendo un appello niente meno che a Sergio Mattarella: ma come? Orvieto? L’Umbria? Come vi permettete? Perché venite a disturbare il nostro giardino, anziché continuare a rovinare pezzenti&puzzoni?
C’era una volta l’effetto Capalbio. Ricordate? Gli intellettuali di sinistra, radunati all’Ultima Spiaggia, tra un romanzo di Umberto Eco e un pensiero di Asor Rosa, scoprirono improvvisamente il problema dell’immigrazione quando i primi vuccumprà fecero capolino tra i loro ombrelloni. Accipicchia, com’è possibile, signora mia? L’immigrazione è bella, ma c’è un problema: possibile che questi extracomunitari non si possano scaricare solo sulle periferie delle grandi città? Devono proprio arrivare qui? Vicino a noi? Adesso dall’effetto Capalbio siamo passati all’effetto Orvieto. Funziona allo stesso modo. Si sono messi in fila tutti i bei nomi dei salotti chic, da Gabriele Salvatores a Dacia Maraini, da Ernesto Galli della Loggia a Luca Guadagnino, da Marco Bellocchio a Paola Cortellesi e Alice Rochwacher (prima firmataria), per scrivere un appello accorato al presidente della Repubblica: le pale eoliche sono bellissime, ma a Orvieto non s’hanno da fare. «Impatto devastante, si mette a rischio la vocazione turistica e le economie dei territori». Particolare preoccupazione per la necropoli etrusca dei Lauscella, che «si trova ad appena 500 metri» dal luogo dove dovrebbe essere costruito «l’aerogeneratore numero quattro».
E, per carità, noi nutriamo un grande affetto per la meravigliosa Orvieto, amiamo le colline umbre e abbiamo anche una certa venerazione per le necropoli etrusche. Ma, sommessamente, vorremmo chiedere, ad Alice Rochwacher e compagni: 3.000 pale eoliche in Sardegna non hanno forse un impatto devastante? Almeno quante sette pale eoliche in Umbria? E allora perché non avete mai detto una parola? Forse perché quelle pale andavano a rompere le scatole ai pastori di Selargius e dintorni? Forse perché non toccavano da vicino le vostre ville? E degli impianti fotovoltaici che di fatto hanno azzerato gli agrumeti in Sicilia perché non avete detto nulla? Perché non avete speso una parola per i contadini siciliani costretti a vendere, spesso a multinazionali, qualche volta anche a forze ancora più oscure, tanto che molti di loro hanno paura persino a lamentarsi? Perché non vi siete preoccupati dei risicoltori di Vercelli? O dei pescatori di cozze di Taranto? O dei pescatori di gamberi di Mazara del Vallo? O dei contadini del basso Piemonte? Perché avete taciuto fino ad adesso? Perché vi muovete solo quando le pale eoliche sfiorano i vostri paradisi à la page?
Benvenga Orvieto, per carità. Se il progetto di devastare l’Umbria avrà il potere di risvegliare i belli addormentati nel bosco degli intellettuali non possiamo che esserne felici. Se farà loro comprendere che l’idea di tappezzare l’Italia di mostri d’acciaio non è il modo migliore per salvare l’ambiente, ma al massimo per salvare il bilancio di qualche multinazionale, non possiamo che esultare. Ma vorremmo che fosse chiaro che, con tutto il rispetto per Orvieto e per la necropoli Lauscella, la battaglia contro la folle invasione di impianti rinnovabili non è la battaglia del fighettismo patinato. È, invece, la battaglia sporca e sudata di contadini, pescatori, allevatori, gente semplice come i sardi in rivolta o i pecorai del Viterbese, che magari non sono tanto belli dal punto di vista estetico, magari stonerebbero sul red carpet del Lido di Venezia, sfigurerebbero nelle terrazze e nei salotti della festa di Roma, ma che in questa vicenda si stanno giocando la loro vita e la loro terra. Non una copertina Vip.