2024-08-10
Palazzo Koch a Roma, sede di Banca d'Italia (iStock)
Neanche il 45% del metallo prezioso si trova a Palazzo Koch. Il resto è custodito tra la Bank of England, la Fed e Berna.
Quanti dobloni ci sono nei forzieri della Banca d’Italia? A quanto ammontano le riserve auree del nostro Paese? Dove sono dislocate? E il resto del mondo com’è messo in fatto di oro?
La riserva aurea di una nazione è l’insieme dei fondi di oro detenuti dalla banca centrale. Tale riserva è considerata una risorsa strategica: questo perché l’oro è tradizionalmente visto come un bene rifugio, che conserva il suo valore anche in tempi di crisi. Quanto più sono colmi i bauli di un Paese, tanto più, di norma, essi sono visti come un indicatore della sua solidità finanziaria e della sua capacità di onorare i debiti internazionali. Questo perché dalle riserve auree dipende la capacità di uno Stato di fornire garanzie ai propri partner commerciali e di chiedere prestiti nei momenti di difficoltà.
A riprova dell’importanza di possedere una riserva aurea ingente, anche l’Italia, talvolta, ha dovuto dar fondo al suo tesoro per far fronte a difficoltà economiche. Nel 1976, in piena crisi petrolifera, il nostro Paese chiese un prestito alla Germania di 2 miliardi di marchi. Prestito che, su indicazione dei Tedeschi, fu concesso soltanto a una condizione: il deposito dell’equivalente somma in oro, per un valore di 543 tonnellate.
Ma forse non tutti sanno che l’Italia non si qualifica affatto male nella classifica dei Paesi detentori di quel bel metallo giallo, raro e luccicante: dopo gli Stati Uniti, medaglia d’oro in fatto di possedimenti (nei caveau della Federal Reserve ci sono 8.133 tonnellate di lingotti), e dopo la Germania, che ne ha 3.352 tonnellate, noi ci posizioniamo sul terzo gradino (quarto, in realtà, se consideriamo il Fondo monetario internazionale, con un patrimonio di 2.814 tonnellate di metallo prezioso), con 2.452 tonnellate, costituite da oltre 95.000 lingotti, di peso variabile tra i 4,2 e i 19,7 chili, e per una parte minore da monete. Lingotti e monete provengono da epoche e parti del mondo differenti: alcuni pezzi giungono dall’Inghilterra, altri dagli Stati Uniti e dalla Russia e altri ancora hanno come marchio di emissione l’aquila che tiene la svastica, segno inconfondibile della Germania nazista. Dopo di noi seguono la Francia, con 2.437 tonnellate, la Russia, 2.336, e la Cina, 2.264, rispettivamente al quinto e sesto posto.
Eppure, non tutto l’oro italiano si trova effettivamente nella «Sagrestia», così si chiama il caveau, a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Anzi, ad essere precisi, meno della metà del totale è custodito a Roma. Di quelle 2.452 tonnellate, 141,2 dormono sotto il letto del Tamigi, conservate nei forzieri della Bank of England di Londra; 149,3 si trovano alla Schweizerische Nationalbank di Berna, la Banca dei regolamenti internazionali; e 1.061,5 tonnellate sono conservate alla Fed di New York. Stiamo parlando di più del 55 per cento di oro custodito all’estero. Tale scelta deriverebbe da strategie di diversificazione finalizzate alla minimizzazione dei rischi e dei costi. Infatti, un quantitativo delle riserve viene custodito in prossimità delle principali piazze dove viene negoziato l’oro al fine di avere la possibilità, in caso di necessità, di poter vendere rapidamente e di minimizzare i costi legati al trasporto del metallo.
Eppure, tale dipendenza da custodi esteri solleva interrogativi sulla reale autonomia economica dell’Italia: in uno scenario di crisi internazionale, sarebbe davvero possibile recuperare il controllo di questo oro?
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Cosimo de' Medici è stato il primo banchiere sceso in politica. Noto anche come Cosimo il Vecchio, nasce il 27 settembre del 1389 a Firenze da Giovanni di Bicci de' Medici e Piccarda Bueri. Giovanni era un banchiere di successo e il fondatore del Banco Medici, la banca che sarebbe diventata una delle più potenti d'Europa. Firenze era uscita con le ossa rotte dal fallimento dei Bardi e dei Peruzzi e c’era bisogno di qualcosa che in qualche modo rimpiazzasse quelle che erano state le più grandi banche del Medioevo. Nel 1397 i Medici fondano quindi il nuovo banco che introdurrà una nuova forma societaria, molto simile a quella che oggi chiamiamo holding.
Dopo la morte del padre nel 1429, Cosimo assume il controllo del Banco Medici e l’espande ulteriormente. Nel 1433, i suoi rivali politici guidati dalla famiglia Albizzi lo accusano di aver cercato di monopolizzare il potere e lo mandano in esilio. Grazie però alla sua rete di alleanze e alla sua capacità di corrompere i suoi nemici, Cosimo torna a Firenze nel 1434, assumendo la signoria di fatto della città, pur senza ricoprire cariche formali, salvo il paio di volte in cui è eletto gonfaloniere di giustizia. Riesce a garantirsi contemporaneamente il sostegno di numerosi politici e delle corporazioni del commercio e dell’artigianato, erigendosi a difensore degli interessi dei cittadini comuni e della borghesia di fronte all’aristocrazia.
Politico banchiere o forse più banchiere politico. Con lui il banco arriverà alla massima espansione, aggiungendo alle filiali di Avignone, Londra, Pisa e Milano (e Ginevra sarà spostata a Lione quando le fiere della città francese soppianteranno quelle della città svizzera). Cosimo sa gestire i capitali, ma soprattutto da scegliere le persone, i suoi collaboratori: in tempi in cui le comunicazioni erano lentissime per fare i direttori di filiale bisognava scegliere il meglio, bisognava avere persone di fiducia, abili, in grado di prendere decisioni importanti da soli. Non cerca di amministrare ogni cosa; al contrario, invece di lasciarsi sommergere dai particolari, sa distribuire il peso amministrativo sui suoi sottoposti, pur mantenendo saldamente le redini del carro. Lui stabilisce le norme, formula le direttive e bada che le sue istruzioni vengano seguite alla lettera.
Cosimo muore il 1 agosto del 1464 nella villa di Careggi e viene sepolto nella Basilica di San Lorenzo a Firenze, un luogo che egli stesso aveva contribuito a restaurare. Dopo di lui il banco decade. Suo nipote Lorenzo il Magnifico sarà un ottimo patrocinatore di artisti, ma un pessimo banchiere.
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