Giusto il tempo di assegnare il premio Carlo Magno, un riconoscimento dedicato all'uomo che fondò il Sacro Romano Impero e unì l'Europa per la prima volta dopo il disfacimento dell'impero romano, e già si preparano le celebrazioni per Martin Lutero, nel cinquecentesimo anniversario della pubblicazione delle sue famose tesi sulle indulgenze, che cade nel 2017.
Carlo Magno e Martin Lutero: due figli molto diversi del popolo germanico. Il primo fu un unificatore. Discendente di una tribù germanica, i Franchi convertiti al cattolicesimo nel 496 dalla regina Clotilde, fu un «barbaro» che visse nell'ammirazione per la cultura latina e la fede cattolica. Il suo faro era Roma. Chiamò alla sua corte, per essere istruito, i monaci Eginardo e Alcuino, e si fece incoronare nella Città eterna.
Circa 700 anni dopo di lui, un monaco agostiniano tedesco, Martin Lutero appunto, taglia in due l'Europa, contribuendo a gettarla nel caos delle cosiddette guerre di religione (in verità guerre di potere), prima, e dei nazionalismi, poi.
Si dirà: la Chiesa cattolica era in crisi, la vendita delle indulgenze era scandalosa, parecchi papi dimostravano quanto fosse vera la frase di San Vincenzo da Lerino, secondo cui Dio certi papi li dona, altri «li infligge». Tutto vero. Ma credere che l'Europa si sia divisa per la corruzione morale di alcuni uomini di Chiesa, è fare torto anzitutto a Lutero stesso, il quale, nel suo De servo arbitrio, rivolgendosi ad Erasmo da Rotterdam che rivendica il libero arbitrio umano, gli scrive: «Sei il solo a non avermi seccato con questioni estranee al dibattito, come il papato, il purgatorio, le indulgenze e altre simili fandonie con le quali quasi tutti gli altri hanno tentato di accalappiarmi».
Che cosa sostiene Lutero nel De servo arbitrio? Si occupa forse della corruzione umana, di questo o di quel papa, o vescovo, come avevano fatto Dante e anche santi e papi? Per nulla. Lutero va ben al di là: «Altri si occupano dei costumi, io della dottrina». Egli nega il libero arbitrio; afferma che l'uomo «resta empio, ingiusto e degno della collera divina... Ai credenti la salvezza per mezzo dell'evangelo; agli altri la collera; i credenti sono dichiarati giusti, gli increduli sono dichiarati empi e ingiusti e sottoposti alla collera divina». Per Erasmo, che rimane nel solco della tradizione cattolica, ogni uomo è segnato dal peccato originale, ma non irrimediabilmente: la salvezza nasce così dalla cooperazione tra l'uomo e la gratia divina. Per Lutero, invece, sola gratia, sola fides: non esistono dunque uomini capaci di bene, uomini e donne santi, ma solo malvagi, salvati o condannati dall'avere o meno la fede.
Non era una visione dell'uomo molto bella e attraente, capace di convertire le masse. Che cosa permise, allora, a Lutero di vincere in Germania? Il suo nazionalismo e la sua alleanza con il potere. Per questo Tommaso Campanella dirà di lui che era stato un figlio della crisi, non un riformatore, e che si era servito del potere come un novello Machiavelli. Infatti, Lutero si appoggia in particolare a principi, langravi, duchi, conti: Filippo d'Assia (a cui concede di essere bigamo), Federico di Sassonia e Alberto di Hohenzollern, duca di Prussia. A costoro si aggiungono presto i duchi di Brunswick e di Schleswig, il conte di Mansfield, il margravio di Brandeburgo-Ansbach ed altri ancora. Tutti convertiti dalla fede nel De servo arbitrio? Suvvia. Tutti ben consci del fatto, semmai, che staccandosi dalla Chiesa cattolica e dall'imperatore cattolico possono assolutizzare il loro potere, unendo quello spirituale a quello temporale, ed accaparrarsi i beni della Chiesa (chiese, monasteri, scuole, ospedali). Per avere dalla sua il potere, Lutero spinge sul distacco tra Germania e Roma, tra principi e impero, tra principi e Chiesa romana. Ecco capovolta la politica unificatrice di Carlo Magno.
Tutta la predicazione di Lutero si snoda, in questo campo, su due fronti: da una parte sacralizzare la figura dei sovrani, da contrappore al papa e ai vescovi; dall'altra demonizzare Roma, sede dell'Anticristo, eliminare il latino (la lingua universale su cui la Chiesa e Carlo Magno avevano fatto leva), e bollare gli italiani, definiti un popolo «di manigoldi».
Mentre Erasmo scrive «siam italiani noi tutti che siam dotti», Lutero, come ricorda lo storico Eugenio Ballabio, educa «milioni di tedeschi all'incomprensione pregiudiziale di un intero popolo»; nel contempo insegna ai principi l'assolutismo. In occasione della guerra dei contadini, per fare un solo esempio, Lutero si rivolge ai principi, per «la salvezza della continuità nella vita spirituale e sociale della nazione tedesca», con queste parole: «Verso i contadini testardi, caparbi, ed accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po' di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati» (Martin Lutero, Scritti politici, Utet, Torino, 1978, pagina 515).
Poco anni più tardi, riguardo agli ebrei: «In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto»; inoltre occorre «allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case» (Martin Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne, Einaudi, Torino, 2000, p. 188-190).
Con Lutero, dunque, nasce il nazionalismo tedesco: sino a quel momento l'Europa non ha certo la stessa moneta, ma ha una sola Chiesa universale, una sola capitale spirituale, una sola lingua sacra.
Con lui nascono invece le Chiese di Stato, e, anche quando parlano con Dio, i cristiani del Nord Europa e quelli del Sud utilizzano lingue diverse, lingue nazionali, gli uni, il latino, gli altri.
Il nazionalismo luterano rimarrà nel Dna della cultura tedesca, anche dopo la secolarizzazione, sino a favorire l'avvento del nazismo. Non per nulla Adolf Hitler, come tutti i pangemanisti dell'Ottocento, loderà Lutero come colui che ha staccato la Germania da Roma e le ha dato una lingua propria. Lo storico Richard Steigmann-Gall, autore di Il santo Reich (Boroli editore, Milano, 2005), dimostra non solo che l'adesione dei protestanti al nazismo sarà molto più alta di quella dei cattolici (nel 1930 sono 120 - su circa 18.000 - i pastori protestanti membri del partito nazista; di contro, zero gli ecclesiastici cattolici), ma ricorda anche che nel lager di Dachau verranno internati 411 sacerdoti cattolici e 36 pastori protestanti (in un Paese a maggioranza protestante). Emilio Gentile, nel suo Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell'epoca dei fascismi (Feltrinelli, Milano, 2010), scrive: «Più propense a schierarsi con il nazionalsocialismo, con la sua concezione della nazione e dello Stato e con il suo antisemitismo, erano le Chiese luterane, vincolate per secolare tradizione all'obbedienza al potere statale quale espressione della volontà divina». Stesso giudizio dagli storici Robert Cecil, Robert Ericksen e Susannah Heschel, Michael Burleigh, William Shirer.
E l'Europa di oggi, l'Europa a trazione tedesca? Difficile non scorgere in Angela Merkel, figlia di un pastore protestante, cresciuta nella Germania dell'Est totalitaria e comunista, le tracce di un certo nazionalismo luterano e teutonico. Ma l'Europa avrebbe bisogno, per essere unita davvero, più di un Carlo Magno, che di un Lutero, secolarizzato e in gonnella.