Quando mi si chiede di cosa voglio parlare esattamente quando utilizzo l'espressione «Grande Sostituzione», o quella di «cambiamento di popolo e di civiltà», mi chiedo sempre se la domanda sia un trabocchetto (abbastanza spesso lo è) o se colui che la pone sia cieco e sordo. Non vedo altra possibilità.
La Grande Sostituzione, in effetti, non è un concetto, non è una «teoria», è la realtà di tutti i giorni. Su un certo territorio c'era un popolo, formato da secoli di storia comune; e nello spazio di una sola generazione ce n'è un altro o diversi altri. Per convincersene basta scendere in strada, nel metrò, nei corridoi delle scuole, nella vita reale. Basta aprire gli occhi. Basta, soprattutto, credere ai propri occhi, osare vedere ciò che si vede, ciò che si vive, ciò che si soffre. «Credete ai vostri occhi», ecco il mio messaggio. Non affidatevi ai giornalisti, agli uomini politici, ancor meno ai sociologi e alle loro presunte statistiche con cui vi spiegano ciò che accade. Costoro vi hanno mentito per quarant'anni. Vi hanno mentito sulla scuola, in cui «il livello qualitativo si innalzava», secondo loro, e che oggi è un cumulo di rovine. Vi hanno mentito sulla delinquenza, che stava diminuendo, a sentir loro, e che comunque non aveva niente a che vedere con l'immigrazione. Vi stanno mentendo ancora sul cambiamento di popolo. E se per miracolo smetteranno di mentirvi, sarà per dirvi: «Si, è vero, avete ragione, ma oggi è troppo tardi».
Ebbene, no, non è troppo tardi. La seconda metà del XX secolo ha visto dozzine di popoli sollevarsi contro coloro che li avevano conquistati e che li opprimevano, ritrovare la loro libertà, la loro dignità e la loro indipendenza. Vedete, in questi giorni, in occasione della sua morte, non si fa che parlare di Nelson Mandela, l'ultimo campione della lotta anticolonialista. Egli ha liberato i suoi da una minoranza coloniale installata nel Paese da diversi secoli, opprimente, certo, fatale alla libertà e all'eguaglianza, ma che con il proprio lavoro e il proprio spirito di impresa aveva apportato al Paese una prosperità e delle strutture statali senza paragoni con ciò che passava il convento altrove nel continente africano, e le cui vestigia, ogni giorno più deboli, sono loro ancora molto utili. Noi abbiamo un compito più semplice. I nostri colonizzatori non ci colonizzano del tutto, se colonizzare è anche valorizzare. Non dobbiamo loro la prosperità globale della nazione: al contrario, essi sono largamente responsabili del suo disastro e del disordine che colpisce i conti pubblici.
Essi non mantengono l'ordine appoggiandosi su una severa polizia: al contrario, è tra loro che vengono reclutati la maggior parte degli autori del disordine, dai piccoli furbi della vita quotidiana, che pensano che pagare la metro e contribuire al suo mantenimento sia cosa buona solo per gli indigeni, o per i cani, i sotto-cani (*), fino ai grandi responsabili dell'insicurezza.
Perché dovremmo tremare? Il nostro avversario non è più micidiale di quello di Mandela e degli altri eroi della battaglia anti-colonialista, a cui ci dobbiamo ispirare, poiché è il nostro turno di proteggere il nostro popolo dall'occupazione straniera. Certo è numeroso, questo avversario, sempre più numeroso ogni anno che passa, con il suo contingente infinito di nuovi arrivati, da una parte, e le sue nascite innumerevoli, dall'altra, le quali fanno dire a demografi ciechi, o traditori, o entrambe le cose insieme, incoscienti, che la demografia in Francia va a meraviglia mentre essa non fa che accentuare giorno dopo giorno il cambiamento di popolo e dunque, necessariamente, di civiltà: perché solo una concezione molto bassa dell'uomo e dei popoli può credere che con altri uomini, altre donne, altri popoli, nutriti da altre culture, altre religioni, altre lingue, si possa continuare ad avere la stessa storia, a essere la stessa nazione, a godere della stessa civiltà. La Francia può integrare degli individui, l'ha sempre fatto. Essa non può, se vuole restare se stessa, integrare altri popoli.
L'Algeria appena decolonizzata ha ritenuto che il 10% della popolazione del suo territorio non appartenesse al suo popolo, non fosse compatibile con la sua libertà e indipendenza. Il mondo intero ha compreso molto bene tutto ciò, all'epoca. Esso pensava la stessa cosa della nuova nazione. La posizione dell'Algeria sembrava evidente e legittima alla Terra intera. E questi milioni di europei e di ebrei giudicati inassimilabili sono stati gettati a mare in qualche settimana. E nessuno nel mondo è stato scioccato dalla brutalità inaudita con la quale è stata condotta tale operazione. Ricordate lo slogan «la valigia o la forca»? Il cielo mi è testimone, io non auspico nulla di simile.
Sono presidente di un partito che porta la non-violenza nel suo stesso nome, l'in-nocenza, la non-nocenza, la non-nocività, la volontà di non nuocere. La violenza, la nocenza, non sono dal nostro lato. L'antirazzismo al potere, che è l'altro nome del partito sostituzionista, quello dei partigiani e degli artefici del cambiamento di popolo, ci fa carico di tutti i peccati della Terra; e invece non attacchiamo nessuno, noi, non bruciamo le auto, non scippiamo la borsa alle vecchie signore, non controlliamo il traffico di droga, non abbiamo fatto di Marsiglia la capitale dell'iper-violenza, non lapidiamo pompieri e medici, non facciamo regnare la paura sulle metropolitane e i treni notturni, non abbiamo, sin qui, forzato nessuno a cambiare strada o città.
La regola non scritta dei sostituzionisti, i campioni della Grande Sostituzione, è non solamente il loro eterno e caricaturale «due pesi e due misure», che essi applicano sistematicamente a ogni situazione; è anche il mondo al contrario, in cui gli offesi diventano gli offendenti, gli aggrediti diventano gli aggressori, gli umiliati, derubati, attaccati, sfruttati, importunati in ogni modo possibile diventano i razzisti e gli xenofobi.
E allora, rimettiamolo a posto, questo mondo capovolto dai nostri sostituendi e dai loro amici sostituzionisti, che d'altro canto saranno presto sostituiti a loro volta, quando avranno terminato di giocare il loro ruolo storico di strumenti del disastro e i conquistatori non avranno più bisogno di loro. È d'altronde ciò che si osserva in tutte le grandi città d'Europa, che cadono le une dopo le altre e dove si svelano ogni giorno più apertamente i partiti confessionali e comunitaristi, dopo essersi sbarazzati dei loro mentori socialisti o sostituzionisti (è spesso la stessa cosa). Non è la prima volta che il popolo francese deve battersi per la sua indipendenza e libertà, per rifiutare una conquista di cui è fatto oggetto. Io chiamo tutte le mie energie alla costituzione di una forza che dica «no» al cambiamento di popolo e di civiltà.
(*) Gioco di parole intraducibile fra sous-chiens e souchiens, termine satirico e dispregiativo con cui taluni, in Francia, usano chiamare i «français de souche», cioè i francesi «originari», di «ceppo».