Conte in trappola: china il capo col Pd e scopre di avere un rivale a sinistra
Il fondatore Beppe Grillo tace e sul suo blog pubblica una cosetta leggera sulla Guerra mondiale nucleare in arrivo, tra «Olimpo dei poteri forti», «Padroni segreti del mondo» e redivivo Gruppo Bilderberg. Quaggiù, invece, un Giuseppe Conte sempre più solo, dopo la sconfitta elettorale non sa che pesci prendere, riscopre una certa umiltà e si mette «in posizione d’ascolto» con le sue truppe parlamentari. Se M5s non vuole sparire, par di capire che al sedicente Avvocato del popolo toccherà cambiare atteggiamento con Elly Schlein, magari accettando pure la mediazione di Sinistra e Verdi, che ora si candidano a fare «da perno» al campo largo che verrà. Già, perché in casa grillina l’alleanza con il Pd e con la sinistra al momento non sembra avere alternative. Solo che per giocarsela con il centrodestra alle prossime politiche mancano almeno cinque punti all’appello. E quei cinque punti sono proprio quelli persi domenica dai grillini.
«Non è che dobbiamo inventarci qualcosa di particolare, o cambiare linea politica o alleanze. Dobbiamo solo recuperare un po’ di astensionisti», riassume un ex colonnello dell’era Di Maio. Che però aggiunge, sempre sotto garanzia di anonimato: «Per richiamare il nostro elettorato dobbiamo presentarci con più cuore e più semplicità». Insomma, più ruspanti. Non esattamente il profilo di Conte. Ma il cambio di leader non è all’ordine del giorno neppure per Marco Travaglio. Il direttore del Fatto Quotidiano, morto Gianroberto Casaleggio e con Grillo che pare scollegato, è rimasto uno dei pochi ideologhi su piazza del Movimento e a Un Giorno da pecora (Rai Radio 1) è davvero generoso: «Se fossi un amico di Conte e dovessi suggerirgli una vita più tranquilla gli direi di tornare alla sua vita di professore e avvocato, nella quale credo guadagnasse peraltro molto di più. Ma siccome non sono un suo amico ma un cittadino e giornalista credo che debba provare a rilanciare il M5s». E a favore di Conte si schiera anche il Partito Gay Lgbt di Fabrizio Marrazzo e Marina Zela, per i quali «gli unici risultati a favore della nostra comunità degli ultimi anni si devono al M5s sotto la sua guida».
A proposito di Grillo, va detto che è capace di ricomparire da un momento all’altro e fare qualunque gesto, compreso suicidare la sua creatura politica e sciogliere M5s, ma sul suo blog anche ieri ha evitato le elezioni e ha invece pubblicato un lungo e visionario post dell’amico futurologo Fabrizio Paonessa, che vede allungarsi su di noi «la tetra ombra di un conflitto globale», naturalmente atomico. Se queste sono le priorità anche del comico genovese, è chiaro che non lo si può mica disturbare con miserie come la spartizione del campo largo, il vincolo del doppio mandato, l’adeguatezza dell’avvocato di Volturara Appula o il carisma tutto sabaudo di Chiara Appendino.
Tra le truppe pentastellate in Parlamento, par di capire che prevalga ancora la fiducia in Conte. Ma nei chiacchiericci delle ultime ore ricorrono sempre i nomi di leader alternativi come Virginia Raggi o Alessandro Di Battista, al momento impegnatissimo su un solo tema: la guerra tra Israele e Hamas. Alla fine il nome che gira di più è quello di Chiara Appendino, che sulla carta avrebbe anche il gradimento di Conte, ma le implacabili regole grilline la metterebbero in fuori gioco se la Cassazione confermasse la condanna per la tragedia di Piazza San Carlo. Anche se nel suo partito tutti le riconoscono al massimo una responsabilità oggettiva come sindaco, per una gestione dell’ordine pubblico che però spettava ad altri. Il problema è che M5s è da anni fiero della propria severità, dalle norme sulla pulizia della fedina penale al ricambio obbligatorio degli eletti con il limite dei due mandati, tetto che da ultimo ha impedito perfino di candidare la Raggi alle Europee. Ma adesso il Movimento si rende conto che non ha quasi più ceto dirigente né leader carismatici. E forse non riesce manco a cambiare segretario, se si punterà su Appendino.
Ieri sera, Conte ha tenuto la periodica riunione dei gruppi parlamentari all’ora di cena, spiegando di essere «scosso come tutti» per il risultato delle Europee e di volersi mettere «in posizione di ascolto». Insomma, dalle parti dell’ex premier è scoccata l’ora dell’umiltà e del «bisogno di riflettere» tutti insieme. Del resto, qualcosa si era già capito subito dopo i risultati, quando Conte ha archiviato rapidamente mesi di spocchia nei confronti della Schlein e le ha fatto una telefonata di complimenti per il risultato del Pd, dicendosi pronto a lavorare insieme per costruire l’alleanza. Contemporaneamente, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che hanno portato Avs a tre punti da M5s, recapitano un’offerta che fino a sabato sarebbe sembrata surreale: «Saremo perno per l’alleanza, senza di noi il discorso non può iniziare».
Al di là dei contenuti politici di un’alleanza, atteso che l’elettorato grillino dei tempi gloriosi era rigorosamente spaccato tra destra e sinistra, il dato numerico oggi dice che per arrivare a giocarsela con il 47% del centrodestra al campo largo mancano cinque punti. E quei cinque punti li dovrebbe innanzitutto recuperare il Movimento. Come? Sempre le elezioni di domenica suggeriscono che il lavoro vada fatto sugli astenuti e in particolar modo al Sud. Se non si vuole richiamare in servizio Luigi Di Maio o puntare su promesse elettorali al limite del voto di scambio, una carta può essere Di Battista. Sempre che Bonelli e Fratoianni accettino di essere scavalcati a sinistra.