Sergio Mattarella è molto preoccupato per lo stato dell’informazione europea. Durante la visita in Moldova, fatto ripreso ieri con grande enfasi da tutti i media, ha lanciato l’allarme sulla invasione delle fake news. A suo dire, ci sono in corso tentativi di orientare surrettiziamente il dibattito pubblico nostrano. Più precisamente vi sarebbero «tentativi di influenza disinformativa da parte russa in Italia.
Ve ne sono, li registriamo. Vi sono costantemente, e si intensificano particolarmente nei momenti elettorali«, ha detto il presidente. Si tratterebbe di «iniziative» condotte «attraverso alcuni siti permanenti, che lo fanno con maggiore cautela ma con evidenza». L’opera di disinformazione sarebbe poi condotta da «una molteplicità di siti web, che nascono e scompaiono velocemente». Mattarella descrive «una diffusa tempesta di disinformazione, di fake news, di falsità, volte tutte a screditare e destabilizzare anche il nostro Paese». Per l’uomo del Colle queste sono «forme di ostilità inaccettabili che richiederanno - io mi auguro sollecitamente - in sede di comunità internazionale, delle regole di comportamento che riguardino il rispetto degli altri Paesi». Il messaggio è chiaro: ci sono troppe fake news messe in giro sulla rete che inquinano il dibattito italiano, orientandolo in base ai dettami russi.
Non c’è dubbio che vi sia disinformazione russa, anzi non è proprio una notizia. D’altra parte la Russia è impegnata in una guerra, e da diverso tempo le guerre si combattono anche e soprattutto in maniera ibrida, dunque coinvolgendo anche il sistema mediatico. Il fatto che Mattarella rimarchi - legittimamente - l’esistenza di questo inquinamento informativo ci fa sorgere qualche interrogativo. Ci chiediamo, ad esempio, perché si concentri soltanto sulla disinformazione russa, quando con tutta evidenza alle stesse tecniche di manipolazione fanno ricorso pure gli ucraini, gli americani, gli inglesi e financo gli italiani. La risposta è chiara: la disinformazione dei «nostri» va bene, perché contribuisce a sostenere la causa. Piccolo problema: su questa causa e sull’opportunità di perseguirla inviando armi non ci risulta sia stata interpellata la popolazione. E non ci risulta nemmeno che ci sia tutto questo entusiasmo diffuso a livello europeo, come testimoniano i risultati delle elezioni che hanno bastonato duramente i guerrafondai e premiato, dalle nostre parti, coloro che apparivano più trattativisti. Ci chiediamo allora: a che cosa serve mettere in guardia dalle fake news che intorbidano il dibattito se poi di quel dibattito non si tiene minimamente conto poiché il posizionamento internazionale dell’Italia è già stato deciso altrove a dispetto delle opinioni dei cittadini?
Certo, può darsi che il presidente abbia a cuore semplicemente la limpidezza della discussione. Epperò, se così fosse, avrebbe già da tempo dovuto richiamare all’ordine la grandissima parte dei giornali, dei siti e delle emittenti di casa nostra, dato che per due anni e passa hanno diffuso balle e previsioni clamorosamente sbagliate a proposito del conflitto. Anzi, a ben vedere il monito sulla perversità delle fake news meriterebbe di essere allargato ben oltre la questione bellica. Che si parli di Covid o di «rivoluzione verde», di immigrazione o di temi Lgbt, le bugie e le manipolazioni sono da troppi anni all’ordine del giorno e alcune sono state platealmente svelate. Piccolo esempio: la stupidaggine proferita da Mario Draghi («Non ti vaccini, ti ammali, muori») resta nella storia come falso clamoroso, paragonabile a fregnacce di guerra come l’affermazione secondo cui i russi si sarebbero distrutti da soli un gasdotto. Ebbene, di queste scempiaggini qualcuno è forse stato chiamato a rendere conto? Ci risulta di no, anche se bugie simili hanno condizionato e condizionano pesantemente la vita di milioni di persone. Si ripropone, con tutta evidenza, il consueto ritornello: la disinformazione è brutta soltanto quando non serve a puntellare le (scarse) ragioni del sistema attualmente dominante. Se invece risulta utile, non solo viene consentita, ma viene pure apertamente sostenuta anche dalle massime cariche istituzionali.
Oddio, può ovviamente essere che ci sbagliamo. Se così fosse, il Quirinale potrebbe smontarci in un secondo. Per dimostrare che ha a cuore soltanto la trasparenza della discussione pubblica, non avrebbe che da sollecitare pubblicamente l’inizio dei lavori della commissione Covid, augurandosi che sbricioli tutte le falsità sul virus e i vaccini veicolate in questi anni da ministri e presunti esperti. Abbiamo però la sensazione che questo tipo di lotta alle fake news non verrà mai messo in campo. Anche perché il Colle ci ha tenuto in passato a esprimersi sulla commissione soltanto per limitarne il campo di azione.
In questo contesto, è inevitabile che sorga un atroce sospetto. Ci viene da pensare, cioè, che l’intemerata sulle fake russe serva a un duplice scopo. Da una parte è utile a proseguire l’opera di demonizzazione del dissenso nei riguardi della guerra, poiché suggerisce che chiunque dubiti della santità di Zelensky sia in realtà un propagandista al soldo di Putin. In secondo luogo, l’allarme sulle balle serve non a ripulire la pubblica arena dalle zone di ombra, bensì ad aumentarne l’opacità. È come se si suggerisse che, essendo inquinato il dibattito, gli italiani non possano avere sviluppato una idea seria e lucida in merito al conflitto. Tradotto: se non appoggiate Kiev senza se e senza ma è perché siete vittime dei troll post sovietici. Comunque la si giri, il risultato è il medesimo: solo un tipo di informazione è concesso, ovvero quello che non disturba il manovratore. E se la pensate diversamente o siete pagati dal nemico o siete voi stessi nemici.