La spintarella di Walter Ricciardi - che protestava: qui nessuno vuole più combattere il virus! - è servita: Roberto Speranza vuole prorogare l’obbligo di mascherina negli ospedali e nelle Rsa per un mese. Giusto il tempo che, a Palazzo Chigi, arrivi Giorgia Meloni. Giusto il brivido di altri 30 giorni di vessazione.
Il metodo è urticante, ma ci siamo talmente abituati che nemmeno ci facciamo più caso: l’ex assessore, impenitente e sibillino, si gingilla, fino ad arrivare a ridosso delle scadenze di legge; poi, prolunga le restrizioni con un intervento dell’ultimo minuto. Al punto che, mentre questo giornale andava in stampa, l’ordinanza, che fonti ministeriali avevano annunciato per la serata di ieri, non era ancora stata pubblicata sul sito del dicastero.
Stavolta, al consueto - e sadico - rito del blitz, s’è aggiunta la foglia di fico, piazzata dal Corriere per fugare ogni sospetto di sgrammaticatura istituzionale. Il quotidiano di via Solferino spiegava che, essendo in carica per i soli affari correnti, il governo non se l’è sentita di emanare un provvedimento che confermasse il bavaglio coatto sui mezzi pubblici. Per nosocomi e case di riposo vale un principio diverso: urgenza ed emergenza rimarranno in vigore fino a quando Speranza uscirà da lungotevere Ripa con gli scatoloni in mano.
Domani, dunque, respirerà la ritrovata libertà (e un po’ d’aria vera) solo chi dovrà salire su treni, autobus, metropolitane o navi. È la maniera singolare con cui il ministro di Leu crede di aver risolto il paradosso che segnalavamo sulla Verità: con la fine della validità delle norme vigenti, i soli certamente costretti a indossare le mascherine sarebbero stati gli studenti. Vittime di presidi (o rettori, nel caso degli atenei) ipocondriaci, oppure dei protocolli sulla gestione dei casi di Covid nelle classi, che prescrivono dieci giorni di museruole ai contatti stretti del positivo. Visto il grado di copertura vaccinale e immunitaria della popolazione italiana, logica e buon senso avrebbero suggerito che l’affrancamento di nasi e bocche riguardasse l’intera popolazione. L’ultimo dei mohicani della pandemia, però, è sintonizzato su un’altra frequenza di pensiero: divieti e obblighi non si aboliscono. Semmai, si moltiplicano.
A parte la vigile attesa di Ricciardi, che mercoledì si batteva il petto dinanzi alla prospettiva che fosse possibile visitare un nonnino senza la Ffp2, si registra la soddisfazione dell’inossidabile Massimo Galli per la decisione del ministro: «È indubbia l’utilità di mantenere le mascherine negli ospedali e nelle Rsa. Indossarla per andare a trovare un congiunto mi sembra il minimo del dovuto». Nella mente del team Speranza, l’accanimento continua a essere spacciato per «prudenza». «Il problema», ha perciò borbottato il prof, «è capire se in luoghi come i mezzi di trasporto sia davvero prudente abolire la mascherina». L’ex assessore potentino, così, si ritrova scavalcato a sinistra. Colpa dell’etichetta: il vincolo degli affari correnti gli ha smorzato il colpo di mano.
Il guaio è che, come sovente reclamava Massimo Cacciari, è impossibile capire quale situazione epidemiologica, per lorsignori, giustificherebbe l’abrogazione di ogni limite e restrizione. Se bisogna schermare i fragili - i quali sono esposti a una vastissima gamma di patogeni insidiosi - in presenza di un virus che, con ogni probabilità, non abbandonerà il genere umano, le Ffp2 rischiano sul serio di diventare la nostra «nuova normalità». Poiché Ricciardi parla ancora di un livello di vaccinazioni «insoddisfacente», è forte il sospetto che, per il mainstream sanitario, non esista un parametro utile a sancire il vero ritorno alla vita pre pandemica: fine mascherine mai.
L’eredità di Mr Lockdown, comunque, non è circoscritta agli eterni bavagli. È il caso di ricordare che, sempre negli ospedali e nelle residenze per anziani, tuttora è necessario esibire la carta verde, se si vuole andare a trovare un parente. Uno strascico dell’apartheid vaccinale, il cui carattere antiscientifico diventa, con il tempo, ancor più indigeribile. A ciò si aggiunge la persecuzione di medici e infermieri, per i quali l’inoculazione coatta, fino al 31 dicembre, è considerata un requisito irrinunciabile per godere del diritto costituzionale al lavoro. Anche se quei professionisti sono guariti dal Covid da più di tre mesi.
Persino Gimbe, la fondazione del chiusurista Nino Cartabellotta, ha dovuto ammettere che il programma del centrodestra, cioè l’idea di non interferire più con le libertà personali degli italiani, «è condivisibile». Il Paese, pertanto, è ostaggio di fondamentalisti ridotti al lumicino. La Meloni e i suoi alleati hanno il compito di porre rimedio ai danni di quella che, ieri, la papabile premier ha definito la fallimentare gestione di Speranza & C. Poi, arriverà il tempo di accertare chi ha sbagliato: una commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid è una promessa che la coalizione non deve scordarsi di mantenere.