I giornaloni si sono resi conto ieri mattina che l’alleanza di centrosinistra, tra 5 stelle e Pd, non esiste più. In realtà, il cosiddetto fronte progressista non è mai esistito. Presa com’era a seguire l’altalenante andamento dei rapporti fra Fratelli d’Italia e Lega, la grande stampa non si è accorta che l’unione giallorossa non è mai stata tale. Grillini e piddini altro non erano che un cartello elettorale, messo insieme al solo scopo di sommare i voti, ma certo non con l’obiettivo di dare a comuni, regioni e (in futuro lontano) a esecutivo una prospettiva di governo.
Ne abbiamo scritto a proposito dei due leader che guidano pentastellati e piddini. Il primo, vale a dire Giuseppe Conte, insegue il sogno di tornare a Palazzo Chigi e se fosse necessario si alleerebbe anche con il diavolo. Di certo, pur godendo di minori consensi della segretaria con armocromista al seguito, non ha nessuna intenzione di fare il gregario di Elly Schlein, ma semmai di scavalcarla. Dalla sua parte, l’avvocato di Volturara Appula ha la fortuna di non avere una sua idea di futuro del Paese e infatti in questi anni le ha cambiate disinvoltamente tutte, pronto a propugnare quella che più gli conviene. È stato orgogliosamente populista quando gli è convenuto e altrettanto altezzosamente antipopulista nel momento che gli è tornato comodo. Aveva nel programma l’abolizione del Mes quand’era alleato con la Lega, quindi è stato a favore del Mes appena cambiata casacca e imbarcato il Pd. A favore del sostegno all’Ucraina mentre era in maggioranza. Contro l’invio delle armi a Kiev appena è finito in minoranza. Definirlo un camaleonte diciamo che è un eufemismo e, come ha sperimentato Carlo Cottarelli, è in grado di parlare per ore senza dire mai nulla di significativo. Da un tipo così c’era da immaginarsi una giravolta alla prima occasione. E infatti, dopo aver fatto sperare il Partito democratico di aver dato vita a un campo largo con la vittoria in Sardegna, sono bastate poche settimane perché Conte lo restringesse e insieme riducesse anche le speranze di Schlein di poter portare qualche successo alle amministrative.
Se il profilo dell’ex premier prestato ai grillini è quello di un Fregoli della politica, ossia di un abile trasformista in grado di interpretare tutti i ruoli, della segretaria del Pd si può dire che la frase con cui commentò la vittoria contro Stefano Bonaccini può considerarsi un programma politico: non mi hanno vista arrivare. Infatti, a distanza di quasi un anno da quelle primarie, a Largo del Nazareno ancora non hanno capito da dove sia giunta la marziana che li guida, ma soprattutto dove voglia andare. Definirla trasparente pare un’offesa alla consulente che si occupa del suo abbigliamento. Non solo non buca il video, ma nemmeno scalfisce l’interesse dell’opinione pubblica. Tuttavia, nonostante la siderale distanza fra Conte e Schlein, i giornaloni per giorni ci hanno sbomballato (uso il romanesco perché non c’è altro verbo che renda meglio il martellamento con relativo istupidimento dell’interlocutore) con la rimonta della sinistra. È bastato infatti il successo per 3.000 voti della candidata grillina in Sardegna perché da Repubblica alla Stampa riempissero paginate per celebrare il mutamento della sensibilità dell’opinione pubblica. Dopo «non ci hanno visto arrivare», la parola d’ordine a sinistra è diventata «è cambiato il vento». Peccato che poi sia arrivata la doccia fredda del voto in Abruzzo, con la riconferma di Marco Marsilio, e subito dopo il disastro delle candidature in Basilicata e Piemonte, dove il cartello elettorale 5 stelle-Pd è andato in mille pezzi.
Poi c’è stata la sceneggiata di Bari, con Antonio Decaro che, non potendosi candidare per la terza volta a sindaco, ha pensato bene di usare un’inchiesta della Procura per atteggiarsi a vittima della maggioranza di governo e farsi un po’ di campagna elettorale alle Europee. Ma poi, anche qui, il diavolo - sotto le forme di Michele Emiliano, senza offesa per il simpatico e verace governatore - ci ha messo la coda, raccontando la storiella della visita alla sorella del boss, con relativo bacio della pantofola. Neanche il tempo di riprendersi dalla botta, che ecco arrivare un’altra inchiesta, questa volta per voto di scambio, con i consensi comprati per 50 euro e tutto in casa Pd. Risultato, Giuseppe Conte, che non ama farsi misurare perché lui e il Movimento ne uscirebbero a pezzi, ha deciso di sfilarsi dalla coalizione per il sindaco di Bari, lasciando Elly con il cerino in mano. In fiamme, oltre alle dita della segretaria così è andato il cartello della sinistra. Del resto, se c’è una cosa che i compagni sanno fare molto bene, è dividersi e suonarsele di santa ragione. Da Calenda a Renzi, da Conte a Schlein sono botte da orbi e i soli a non vederli sono i giornaloni, che pur di dir male di Giorgia Meloni sono pronti pure a glorificare grillini e piddini.
Ps. A proposito, come reagiranno certe redazioni alla glorificazione che ha appena fatto del premier il quotidiano britannico Telegraph, secondo cui l’Italia con l’attuale governo ha svoltato?