Ideona dell’ex premier dem: «Bruxelles si ispiri sempre al modello usato coi vaccini»
È quanto mai singolare l’assioma della estesa relazione (170 pagine) sul futuro del mercato unico europeo, presentata ieri da Enrico Letta al Consiglio dei capi di Stato e di governo dell’Unione. È proprio nella parte dedicata alla cosiddetta «resilienza sanitaria», infatti, che il nocciolo della dottrina Letta si dispiega in tutta chiarezza: cinque pagine fitte in cui l’ex premier, presidente dell’Istituto Jacques Delors, cita proprio la pandemia da Covid-19 come «momento di svolta per le politiche sanitarie globali ed europee». A dimostrazione che c’è ancora qualche politico in Europa che ritiene che la gestione pandemica made in Ue sia stata un ottimo esempio di approccio unificato alla salute.
Basti leggere le parole scritte da Letta riguardo all’acquisizione dei vaccini, esempio plastico di quanto pervicacemente sfacciate continuino a essere le velleità armonizzatici europee: «L’esperienza dell’acquisto congiunto di vaccini durante la pandemia dimostra una strategia che potrebbe essere replicata per alcuni altri medicinali», spiega l’ex segretario Pd. «Questo approccio consentirebbe negoziati su larga scala, garantendo risultati “efficaci e competitivi” (sic, ndr)».
Ma come: l’ambigua procedura di acquisizione dei vaccini è finita nel mirino di tutte le istituzioni che gravitano intorno alla Commissione, a cominciare dalla Procura europea (Eppo), e Letta la porta a esempio? Non è paradossale che l’ex premier evochi proprio l’opaco iter di acquisto dei preparati anti Covid condotto da Ursula von der Leyen - tra sms cancellati con Albert Bourla e contratti sbianchettati - come «best practice» di approccio efficace in una prospettiva di appalti congiunti?
Non è servita, a quanto pare, la censura della Corte dei conti Ue verso donna Ursula per essersi rifiutata di divulgare qualsiasi dettaglio (verbali, nomi degli esperti consultati, termini concordati) dei colloqui con Pfizer. Né è valsa la condanna dell’Ombudsman europea Emily O’Reilly per «cattiva amministrazione», considerato che l’accordo stretto con Pfizer valeva circa 36 miliardi di euro ma nessuno ne ha mai conosciuto i dettagli. Neanche l’apertura di un’indagine al Tribunale di Liegi, sotto giurisdizione belga, e alla Procura europea, hanno fatto scattare al presidente dell’Istituto Jacques Delors un minimo di prudenza nell’andare a evocare proprio lo shopping incontrollato di Ursula von der Leyen come migliore esempio di «approccio unificato alla salute». Sarà forse perché, di tutte queste censure ufficiali e politicamente rilevanti, nessun media ha mai parlato?
A corroborare il paradossale cortocircuito, Letta ha anche sostenuto il progetto di snellire il processo di sperimentazione clinica, rendendo così l’Ue «un mercato più attraente per i produttori. Le sperimentazioni multinazionali o a livello europeo», dice l’ex premier, «sono un fattore importante per consentire agli sviluppatori di farmaci dell’Ue di raggiungere dimensioni sufficienti per competere con gli Stati Uniti». Sarà, ma le politiche di Ursula von der Leyen, pienamente appoggiate dal Pd e dal Partito socialista europeo, sono andate proprio nel senso opposto, patrocinando concretamente, con la complicità dei media, la character assassination dell’unico vaccino europeo, l’anglosvedese Astrazeneca, a favore dei preparati americani Pfizer e Moderna. Un vaccino, quello Astrazeneca, né più né meno tecnicamente controverso di quanto lo siano stati quelli statunitensi (anzi), che però costava ai sistemi sanitari europei molto meno: soltanto 2,9 euro contro i circa 22,5 euro delle dosi Pfizer.
Chissà dov’era, il Partito socialista europeo di Enrico Letta, quando la Commissione Ue buttava dalla finestra i contratti con Astrazeneca per stendere i tappeti rossi al marketing di Pfizer?
Non potevano mancare, nella relazione dell’ex premier, le strizzate d’occhio all’Oms e allo spauracchio agitato dal direttore Tedros Ghebreyesus per perorare la causa della globalizzazione dei sistemi sanitari, la famosa «malattia X»: «È inevitabile», scrive Letta, «non conosciamo la sua forma o quando colpirà, sappiamo solo che lo farà e potrebbe essere molto più devastante del Covid».
A cascata, l’ex segretario del Pd ha sciorinato tutte le inquietanti proposte già ampiamente diffuse da Ghebreyesus nei consessi internazionali, dall’approccio One Health al green pass globale: «Dobbiamo dare priorità alla vaccinazione degli europei come strumento fondamentale per prevenire virus e malattie, soprattutto tra i pazienti fragili, i bambini e gli anziani. L’implementazione di un passaporto europeo per i vaccini è sempre più urgente, almeno per standardizzare e monitorare le vaccinazioni raccomandate dall’Oms» ha scritto Letta, per poi sollecitare lo smantellamento del metodo scientifico e dei trial clinici: seccature burocratiche. «Gli standard divergenti applicati dai comitati etici dei vari Stati membri», ha detto, «”rallentano” (sic, ndr) la valutazione delle domande di approvazione delle sperimentazioni multinazionali e rendono il processo più costoso e gravoso». Letta si riferisce alla proposta di riforma della legislazione farmaceutica comunitaria, che intende regolamentare l’accesso al mercato dei farmaci nell’Ue. Una proposta che, dichiarando di voler «mettere il malato al centro», sdogana definitivamente procedure a tempi record per la valutazione scientifica e l’autorizzazione dei nuovi medicinali, con evidenti conseguenze sulla sicurezza dei farmaci. Gli standard divergenti dei vari comitati etici - quelli che in pandemia, ad esempio, erano contrari alla somministrazione di massa del vaccino ai giovani - vengono liquidati dall’ex premier come noiosa burocrazia che «rallenta» l’accesso ai nuovi farmaci.
L’obiettivo, come è ormai chiaro, è quello di normalizzare tutte le forzature già perseguite in pandemia per poter dare una spinta gentile, ma neanche tanto, alla vendita di farmaci a pazienti sani. Un mercato interno, quello à la Letta, orientato al benessere delle aziende farmaceutiche prima ancora che dei cittadini.