Incassi magri e scarso interesse per il film di Greta Gerwig: nel Paese asiatico, l’ideologia di cui si fa portatrice la pellicola non attira. Ma potrebbe semplicemente essere una questione di gusti differenti.
Tutti pazzi per Barbie. O quasi. Se in Russia Maria Butina, membro del Comitato per gli affari internazionali della Duma di Stato, ha chiesto di bandirla perché contraria ai valori tradizionali, se in Vietnam il film rischia di essere messo fuori dalle sale perché vi compare una cartina che mostra confini non graditi a Ho Chi Minh City (idem nelle Filippine), in Corea del Sud nessuno ha sollevato obiezioni alla pellicola di Greta Gerwig con Margot Robbie nei panni della bambola più famosa del mondo, solo che… ai sudcoreani non piace.
Dal 19 luglio, infatti, il film ha attirato al cinema solo 460.000 spettatori (Mission: Impossible, per dire, ne ha totalizzati 3,6 milioni). Nel weekend dell’uscita, il film ha coperto solo l’8% del totale dei biglietti strappati, nel secondo weekend il 3,9%. Un ben magro bottino, se si pensa che la pellicola sta facendo incassi record in ogni parte del mondo. In Italia, per esempio, il film ha incassato finora 21 milioni, portando al cinema circa 2,5 milioni di persone. La Corea del Sud, con i suoi 51 milioni di abitanti, ha una popolazione analoga alla nostra: perché, allora, Barbie da noi è stato visto 5,5 volte di più?
La cosa stupisce anche perché, nei Paesi asiatici, la Corea del Sud è quello apparentemente più occidentalizzato, senza revanscismi o risentimenti politici nei confronti della cultura americana. Secondo Haein Shim, militante femminista sudcoreana intervistata dal Guardian, «un film centrato sulle donne con un humor femminista è tuttora considerato un argomento tabù. Le donne potrebbero essere riluttanti ad andare a vedere il film. La paura di essere etichettate come femminista in Corea del Sud è reale. La parola “femminismo” è diventata una parolaccia per molte persone in Corea, e le persone non sono disposte a riconoscere – e sono a disagio nell'affrontare – il patriarcato profondamente radicato che ha guidato la società per così tanto tempo». Una spiegazione che, depurata dell’ideologia, può semplicemente essere letta come: i sudcoreani non si riconoscono nel modello e nel messaggio lanciato dal film. Capita.
Sempre al Guardian, il critico cinematografico Youn Sung-Eun ha affermato che i sudcoreani sono spesso d'accordo sull'uguaglianza di genere in linea di principio, ma ci sono fazioni all'interno della società conservatrice che si oppongono fermamente a ciò che percepiscono come femminismo radicale.
Consci forse di questo contesto, i produttori avevano preso in anticipo delle contromisure. I poster con gli slogan «Barbie è tutto» mentre «Lui è solo Ken», in Corea mostravano sin dall’inizio solo i nomi dei due personaggi, senza lo sberleffo femminista al compagno di Barbie. Dopo le critiche, Warner Brothers Korea ha affermato che la mossa non era intenzionale e che si era concentrata solo sulle immagini e sui nomi del personaggio durante le prime fasi della sua campagna promozionale.
La spiegazione femminista non è comunque la sola a poter spiegare il flop sudcoreano di Barbie. Il Guardian ha infatti ospitato anche il parere di Jason Bechervaise, esperto di cultura cinematografica coreana, secondo cui «Smugglers, un film locale che presenta un grande cast femminile, è in testa al botteghino locale». Il film, in effetti, ha già attirato più di 2 milioni di spettatori da quando è uscito il 26 luglio. Niente avversione alle donne protagoniste, quindi. Solo sensibilità culturali diverse, e magari anche gusti estetici differenti. Un concetto a cui, in epoca di globalizzazione e omogeneizzazione dei gusti a livello mondiale, non siamo più abituati.