L’ex premier detta la linea: «La politica deve tingersi di verde». Il capo di Stato rincara: «Gli obiettivi 2030 dell’Onu non sono negoziabili». Sono morse sia alla nostra economia sia al progetto conservatore in Ue.
L’agenda 2030 abbracciata dall’Onu e dall’Ue si basa su 17 obiettivi. Oltre agli scontati «sconfiggere la povertà» e «fornire acqua potabile a tutti», la gran parte degli altri obiettivi parla di resilienza, sviluppo sostenibile e inclusione. Dietro la facciata, ci sono dettagli che anni fa avevamo trascurato. Ad esempio, «dare vita a infrastrutture resilienti, promuovendo al tempo stesso l’innovazione e un processo di industrializzazione in grado di risultare equo, responsabile e sostenibile» è una frase che a primo acchito, quando è stata promossa l’Agenda, poteva sembra innocente. Poi sono arrivate la transizione ecologica, le tasse sulla CO2, l’auto elettrica, il tentativo di riforma del Catasto e le direttive sulla casa green. Così, con la messa in pratica di quello che fino a pochi anni era filosofia teoretica, abbiamo capito che il senso vero dell’Agenda è quello di trasformare il sistema produttivo del Vecchio Continente e quindi il modello sociale.
Uccidere il motore a scoppio significa, ad esempio, archiviare una lunga parentesi di libertà che ha permesso ai Paesi Ue di crescere di diventare ricchi. Il modello digitale ed elettrico invece porta, assieme all’inflazione, una decrescita programmata che limita i consumi, le possibilità di spostamento e di conseguenza incentiva la costante tracciabilità dei cittadini. Abbiamo assaggiato il sapore degli obblighi durante la pandemia e il test del green pass che, privo di alcun senso scientifico, si è rivelato non altro che il modello di blockchain già previsto dal progetto Ue di febbraio 2020, il quale mira a trasformare i governi in piattaforme e i cittadini in identità digitali.
Basterebbe questo alert per avviare un dibattito serio e ampio sul reale impatto degli altri 16 obiettivi dell’Agenda sulla conformazione dell’Europa. Invece, ieri abbiamo avuto la conferma che l’Agenda è un dogma. Un atto di fede che non solo va preso così come è, ma che non può essere messo in discussione perché criticare o smontare l’Agenda è come negare il bene collettivo. A entrare sul tema ieri è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che celebrando l’anniversario dell’inserimento della tutela dell’ambiente in Costituzione e sottolineando che «Il Parlamento ha ritenuto di approvare una modifica agli articoli 9 e 41 della Costituzione per esplicitare l’impegno nei confronti della tutela dell’ambiente e dell’eredità da trasmettere alle giovani generazioni», ha sentenziato che «Unione europea e la Repubblica non possono evadere l’impegno» in questa direzione. Quale direzione? Quella dell’Agenda 2030. Durante il discorso di Capodanno il titolare del Colle aveva già portando all’attenzione degli italiani il concetto di nuove generazioni e di trasformazione digitale del Paese. Un concetto che piace molto anche all’ex presidente della Consulta, Giuliano Amato. L’uomo che ha espropriato i conti correnti degli italiani ha rilasciato una intervista a La Repubblica per ribadire con parole diverse lo stesso messaggio di Mattarella. «La politica deve tingersi di verde», dice Amato imponendo una sorta di trasfer cromatico e logico. Il verde è il «green», ma ovviamente sta per rosso di socialdemocrazia. Mentre la Costituzione da causa diventa effetto. Amato ci racconta che le decisioni dell’Ue in tema green «interpretano lo spirito» del nuovo articolo 9, che aggiunge la tutela dell’ambiente a 360 gradi alla Carta più bella del mondo. Peccato che sappiamo benissimo che la nostra Costituzione è stata emendata su pressione e spinta di Bruxelles. Non viceversa. Altro che interpretazione dello spirito dei Padri fondatori.
Senza la modifica dell’articolo 9, l’Italia sarebbe finita in black list. Eppure in un mondo in cui le parole non rispecchiano il significante della realtà, invertire i nessi temporali è l’ultimo dei problemi di coscienza. Tanto più se serve a un progetto politico ben preciso, il cui redde rationem si vedrà il prossimo anno in occasione delle elezioni europee. Il Colle, partecipando all’inaugurazione del Festival di Sanremo, ha di fatto avallato il monologo sul fascismo e sulla Costituzione tenuto da Roberto Benigni: un messaggio elettorale in totale opposizione al governo.
La campagna è però appena iniziata, perché i socialisti temono che il progetto della destra di Ecr vada in porto e concorra a spezzare il loro network di potere. L’Agenda 2030 è dunque il mantra che serve a delegittimare qualunque altro interlocutore. L’ambiente è come il Covid: non è ammessa discussione, né revisione della condotta pubblica. Per questo serve qualcuno che porti avanti il messaggio fideistico.
Bruxelles ha compreso che, dopo la disfatta e la conseguente fuoriuscita dai gangli del potere, il Pd non ha più senso di esistere e di fungere da interlocutore ed esecutore delle mosse di Bruxelles. Ora non c’è più un partito che possa portare avanti il progetto di trasformazione del Vecchio Continente. Da qui il salto di qualità. Basta leggi al vaglio dei Parlamenti locali. Basta discussioni e decreti. La nuova propaganda deve toccare direttamente le basi della nostra Repubblica e le radici della nostra Costituzione. Per questo è partita la morsa verde e il messaggio subliminale secondo cui la Costituzione è la quintessenza del bene collettivo. Noi crediamo fermamente, anzi ne siamo certi, che esista solo il bene degli individui che si muovono dentro la sfera delle libertà. A questo serve la Costituzione. E per questo la morsa verde non può essere utilizzata per fare opposizione a nessun governo. Oggi Mattarella e Ursula von der Leyen pranzeranno a Palermo. Chissà che si diranno. Sarebbe bello se dessero il via a una sana competizione, che permetta a chi incasserà il voto del popolo di ribaltare gli equilibri dell’Europarlamento. Così che la prossima maggioranza possa rimettere in discussione l’Agenda 2030 e realizzare una visione economica e sociale lontana dalla costrizione delle libertà, dalla decrescita e dal nesso povertà-ambiente.