Abbiamo scoperto dove sono le mascherine killer di Arcuri
Il generale Francesco Figliuolo continua a non divulgare i dati sulla distribuzione delle mascherine potenzialmente killer con la scusa che sono in corso indagini giudiziarie, mostrando di avere una strana opinione del diritto di cronaca. Per lui i giornali possono lavorare solo se i magistrati hanno chiuso le inchieste. E soprattutto fa capire che a suo giudizio non è necessario comunicare alla popolazione se circolino ancora per l'Italia mascherine potenzialmente «molto pericolose» per la salute delle persone, dispositivi forniti alla sua struttura (quando era diretta da Domenico Arcuri) dal gruppo di otto broker oggi sotto inchiesta a Roma. Ancora ieri, da Palazzo Chigi, ci hanno confermato la decisione di Figliuolo di non far girare carte all'attenzione dell'autorità giudiziaria. Nonostante tutto questo riserbo, è noto che i pm romani Gennaro Varone e Fabrizio Tucci, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, fossero a conoscenza da aprile dei quantitativi di mascherine difettose ancora giacenti nei magazzini e che non ne abbiano ordinato il sequestro, se non sei mesi dopo. Con il decreto del 15 ottobre i magistrati chiedono un aggiornamento dei dati della giacenza «di Dpi e mascherine prodotti da tutte le aziende rientranti nei consorzi oggetto di indagine» e invitano la struttura a «comunicare ai magazzini Sda di riferimento il blocco della merce ivi depositata», mentre la Protezione civile è invitata «a richiamare presso i propri depositi regionali tutti i Dpi e le mascherine in circolazione nei territori di rispettiva competenza».
Un'iniziativa che i colleghi di Gorizia avevano preso qualche mese fa. Dopo le analisi su alcuni campioni, già a febbraio la Procura friulana aveva ordinato di «bloccare immediatamente la distribuzione dei dispositivi giacenti» e di «richiamare i facciali oggetto di indagine». Una capacità di reazione che potrebbe aver salvato molte vite umane. Infatti, se le Ffp2 garantiscono una protezione del 95 per cento, con quelle difettose la protezione scende anche sotto il 20. Il che significa che da una potenziale diffusione del rischio di contagio del 5 si sale all'80. Su 74 milioni di pezzi è facile immaginare che i potenziali infettati siano nell'ordine non delle migliaia, ma delle centinaia di migliaia, se non dei milioni.
A marzo la Guardia di finanza di Gorizia aveva iniziato a fari spenti il lavoro di sequestro a livello nazionale. Gli uomini delle Fiamme gialle si sono presentati presso la struttura commissariale per acquisire documentazione tecnica, certificazioni, verbali del Cts, contratti di fornitura, documentazione contabile relativi a 12 tipi di mascherine ritenute non conformi, di cui otto fornite da Benotti & C., compresi i quattro lotti di quelle considerate «molto pericolose».
Nel decreto di perquisizione era previsto il «sequestro di quanto rinvenuto (corpo del reato, cose pertinenti al reato) e in ogni caso utile al fine delle indagini». La Guardia di finanza al termine delle operazioni comunicò quanto segue: «Grazie anche alla collaborazione offerta dall'attuale staff del commissario per l'emergenza è stato possibile sequestrare oggi oltre 60 milioni di Dpi (poi saliti a 65 nei giorni successivi, ndr), ovvero mascherine facciali, ancora giacenti presso depositi ubicati su tutto il territorio nazionale e in attesa d'essere distribuiti. Queste mascherine facciali costituiscono il residuo di forniture per circa 250 milioni di pezzi ereditato dalla precedente gestione della struttura per l'emergenza». Quindi, anche se la struttura commissariale non rivela questa informazione, parte dei 74 milioni di mascherine killer potrebbe essere finita negli scatoloni presi dalle Fiamme gialle. Ma quanti di questi dispositivi siano sfuggiti al sequestro non è dato sapere. L'opera di rastrellamento era iniziata in Friuli Venezia Giulia a febbraio e aveva portato al sequestro di 1,5 milioni di pezzi. Sempre nel comunicato si leggeva: «Le analisi di laboratorio che precedettero i primi sequestri evidenziarono che il coefficiente di penetrazione di questi dispositivi è decisamente superiore agli standard previsti. In alcuni casi, infatti, la capacità filtrante è risultata essere addirittura 10 volte inferiore rispetto a quanto dichiarato, con conseguenti rischi per il personale sanitario che le aveva utilizzate nella falsa convinzione che potessero garantire un'adeguata protezione».
Nello stesso periodo la Procura di Roma ha chiesto un censimento alla struttura commissariale e ha ricevuto come risposta che nei centri logistici di Lombardia, Piemonte e Lazio di Sda giacevano ancora 161 milioni di mascherine non conformi, ma di quelle più pericolose ne erano rimaste solo circa 2,8 milioni. La scorsa primavera i finanzieri di Gorizia hanno continuato l'opera di recupero del materiale non conforme e il 6 maggio hanno diramato questo ulteriore comunicato: «L'attività nel suo complesso ha permesso di sequestrare circa 115 milioni (saliti poi a 121, ndr) di Dpi pericolosi che l'analisi della documentazione acquisita ha consentito di stimare nel valore in circa 300 milioni di euro, nonché di condurre alle responsabilità penali dei rappresentanti legali delle società fornitrici della struttura commissariale».
La ricerca non si è fermata ai depositi del gruppo Sda express, ma gli inquirenti hanno chiesto e ottenuto il richiamo delle mascherine dalle sedi regionali della Protezione civile e da alcune strutture sanitarie. Anche singoli ambulatori medici, dopo aver sentito la notizia della loro pericolosità telefonarono per restituire quei materiali difettosi. Iniziative che dimostrano l'importanza della comunicazione per sensibilizzare la popolazione e aiutare l'attività di recupero delle mascherine.
Alla fine oltre 121 milioni (secondo le fonti della Verità la raccolta sarebbe proseguita sino al sequestro di 150 milioni di pezzi, anche se il computo non è stato più tenuto con precisione) di Dpi fallati o non conformi su 250 milioni sono stati tolti dalla circolazione. Ma tra quei cento milioni che mancano all'appello quante mascherine killer c'erano? E di queste, a causa della distribuzione capillare effettuata dalla Protezione civile, quante non sono mai ritornate all'ovile?
Adesso la Procura di Roma ha chiesto il sequestro di tutti i dispositivi residui provenienti dalle commesse di Benotti & C. compresi i 161 milioni inventariati ad aprile e ritenuti «non conformi». Gli investigatori quanti ne troveranno ancora? Vedremo.
Cinque modelli, tra cui i quattro ritenuti «molto pericolosi», erano già presenti nella lista della Procura di Gorizia. Il quinto era di pochi milioni di esemplari.
Al momento i sequestri hanno permesso di mandare al macero circa 150 milioni di mascherine del valore di oltre 300 milioni di euro, a cui potrebbero aggiungersi su indicazione della Procura di Roma almeno altri 80 milioni di Dpi (sempre che non sia troppo tardi) non ancora sequestrati da Gorizia e ritenuti non conformi. Un ennesimo ritiro che potrebbe far schizzare il conto del denaro sprecato dalla struttura dell'ex commissario Arcuri a circa mezzo miliardo di euro (anche se secondo alcune fonti il conto potrebbe addirittura salire a 600 milioni).
Senza considerare il possibile costo in vite umane che potrebbe essere stato causato dalle mascherine killer.
«L'originaria commissione d'inchiesta parlamentare ancora oggetto di discussione dovrà iniziare a indagare anche per ricostruire dove siano state consegnati questi Dpi e quante vite umane siano costate» spiega l'avvocato Consuelo Locati, coordinatrice del team legale dei famigliari delle vittime nella causa civile istruita al Tribunale di Roma. Non solo non proteggevano chi le usava, ma potenzialmente favorivano il contagio. Chissà quante persone sono morte per colpa loro».