
Cinque anni dopo ancora alla ricerca della piena verità. Il 31 gennaio del 2018 in una strada di periferia a Macerata venne ritrovato il corpo di Pamela Mastropietro, 18 anni romana, scomparsa il giorno prima. Era stato fatto in 24 pezzi e nascosto in due trolley. Ad ammazzarla, hanno detto tre gradi di giudizio, è stato Innocent Oseghale, un nigeriano già ospite del Gus – la mega struttura di accoglienza dei migranti che fatturava oltre 40 milioni di cui era vicepresidente l’allora coordinatore della segreteria nazionale del Pd per le politiche dei migranti Giovanni Lattanzi – condannato all’ergastolo, ma che può avere la pena ridotta. Il 25 gennaio comparirà davanti alla Corte d’assise d’appello di Perugia a cui la Cassazione ha trasmesso gli atti per accertare se vi fu o no violenza carnale sulla ragazza prima dell’uccisione.
I difensori Simone Matraxia e Umberto Gramezi approfittano della riapertura del procedimento per contestare, come già hanno fatto nei precedenti gradi di giudizio, le perizie necroscopiche e ovviamente la violenza carnale. Puntano all’assoluzione visto che Oseghale non si è mai dichiarato colpevole dell’omicidio, ma solo del depezzamento del cadavere. Del corpo di Pamela non è mai stato ritrovato il collo, gli organi genitali vennero amputati e scorticati per impedire il rinvenimento di residui organici e la difesa nell’impossibilità di trovare tracce del nigeriano sostiene che non c’è prova della violenza. Basterebbe l’assoluzione da questo reato per far avere a Innocent Oseghale uno sconto di pena tale da cancellare l’ergastolo. Perciò la famiglia Mastropietro, in particolare la mamma Alessandra Verni, si è sempre opposta all’archiviazione di procedimenti che hanno riguardato almeno altri due nigeriani presunti complici di Oseghale.
Lo zio di Pamela Mastropietro, che è il difensore della parte civile, avvocato Marco Valerio Verni non è riuscito ad avere ragione su questo punto nonostante Luisa Regimenti, docente di medicina legale all’Università di Tor Vergata e consulente di parte civile, abbia sempre sostenuto che Oseghale deve avere avuto almeno un complice. Nel corso delle prime indagini vennero sospettati due nigeriani Lucky Desmond e Lucky Awelima (fu catturato con un blitz di polizia alla stazione di Milano mentre tentava di espatriare in Svizzera) condannati per spaccio in concorso con Oseghale, come complici del delitto e dello scempio sul cadavere, ma sono stati prosciolti.
Awelima ha avuto una riduzione di pena per lo spaccio, è stato espulso ed è tornato in Nigeria mentre di Desmond si sono perse le tracce e la Corte d’appello di Ancona si è definitivamente pronunciata escludendo nel giugno scorso eventuali complici di Oseghale. Resta il fatto che fu Oseghale ad accusare i due e però dopo le archiviazioni non si è proceduto contro il nigeriano per calunnia. Se fosse stato fatto i tre si sarebbero trovati faccia a faccia e sarebbe stato possibile misurarne contraddizioni e reazioni. I dubbi così restano.
Le indagini, dopo il 3 febbraio 2018 quando ci fu la sparatoria di Luca Traini - è in carcere condannato a 12 anni per strage - che colpì ferendoli sei immigrati di colore per le strade di Macerata e l’arrivo in città e al Tribunale dell’allora ministro di Giustizia Andrea Orlando (Pd) - fece visita alle vittime di Traini, ma non alla famiglia Mastropietro - ebbero un’accelerazione e si concentrarono solo su Oseghale. Restano dubbi su molte tracce trovate nell’appartamento di via Spalato – in centro a Macerata - dove Pamela fu uccisa e fatta a pezzi, sui tabulati telefonici, sui contatti di Oseghale. Su questo l’avvocato Verni insisterà di nuovo a Perugia mentre per la difesa è sufficiente dimostrare che il rapporto sessuale fu consenziente. Saranno comunque ascoltati testimoni, testimoni invece mai sentiti per sapere se Innocent Oseghale ha fatto tutto da solo.






