Ormai è certo: l’Europa è guidata da un’inguaribile banda di masochisti. Non saprei infatti definire in altro modo i governi che l’altro ieri hanno deciso il sesto pacchetto di sanzioni contro Vladimir Putin.
Dopo una discussione durata settimane, i 27 leader della Ue hanno di fatto deciso l’embargo del petrolio russo, convinti in questo modo di costringere Mosca, se non alla resa, quantomeno alla ritirata dall’Ucraina. Il primo risultato tangibile dell’intesa è stato invece un aumento del prezzo del greggio che non è, come pensa qualcuno, passeggero, ma destinato a durare. Infatti, se l’Opec non aumenta la produzione - ed è altamente probabile che non lo faccia anche per ragioni tecniche - sul mercato verrà a mancare il petrolio e inevitabilmente le quotazioni saliranno. Qualcuno magari riterrà che se questo è il prezzo da pagare per sconfiggere Putin, è giusto soffrire ogni volta che si fa il pieno di benzina.
Purtroppo, chi pensa che i sacrifici giustifichino la nobile causa si sbaglia, perché le sanzioni finiranno più in tasca a noi che allo zar del Cremlino. All’incredulo Beppe Severgnini lo ha spiegato l’altra sera su La7 Lucio Caracciolo, direttore di Limes ed esperto di geopolitica. Mentre l’editorialista del Corriere della Sera andava in brodo di giuggiole per l’intesa raggiunta da Bruxelles, Caracciolo chiariva che l’accordo raggiunto dall’Europa non prevede un embargo del petrolio russo, ma delle petroliere. In pratica, si impedisce alle navi cisterna di attraccare nei porti russi e di fare il pieno, pena sanzioni all’armatore e a coloro a cui è destinato il petrolio.
Peccato che queste misure siano facilmente aggirabili. Innanzitutto, perché a partire dalla Cina per finire all’India ci sono un’infinità di Paesi che non rispettano le sanzioni decise dall’Europa e molti di questi non vedono l’ora di poter importare greggio per sostenere le proprie imprese. Non solo, da anni, malgrado l’embargo decretato dagli Stati Uniti, l’Iran vende sottobanco il proprio petrolio, usando il sistema delle triangolazioni, cedendolo a qualche Paese africano che poi lo rivende come se fosse suo. Per Putin probabilmente sarà più facile, perché ha otto mesi di tempo per trovare le scappatoie e soprattutto per organizzare trasferimenti di greggio da una petroliera a un’altra non soggetta a embargo. Di certo, come ha spiegato Caracciolo, il suo petrolio non resterà invenduto, mentre a noi rimarrà il prezzo da pagare, che ovviamente sarà salato.
Tanto per darvi un’idea di ciò che ci aspetta, basta volgere lo sguardo verso Siracusa, dove ha sede l’Isab, ossia la più grande raffineria d’Italia. Pochi lo sanno, ma quest’azienda, che dà lavoro a 10.000 persone tra dipendenti diretti e indiretti e da cui escono 14 milioni di petrolio raffinato, ovvero il 13,6 per cento dell’intera produzione italiana, è russa. Dopo vari passaggi di proprietà, che hanno visto alla guida della società la famiglia Garrone e l’Eni, da un po’ di anni il petrolchimico siciliano è nelle mani della Lukoil, una delle più grandi compagnie di Mosca. Già nella prima fase del conflitto ucraino l’azienda si era vista chiudere all’improvviso le linee di credito, trovandosi in difficoltà finanziaria, ma ora, con l’embargo del petrolio, l’Isab è costretta ad abbassare la serranda perché non potrà più importare greggio dalla Russia. A Palazzo Chigi nessuno se n’è reso conto, ma a Palermo sì, prova ne sia che ieri sui giornali locali l’assessore regionale alle Attività produttive Mimmo Turano denunciava l’atto di autolesionismo. «Risulta francamente incomprensibile la mancata richiesta da parte del governo italiano di inserire la raffineria di Priolo tra le deroghe previste nel nuovo pacchetto di sanzioni sul petrolio russo». Anche perché dall’embargo è stata esclusa una raffineria bulgara e dunque, spiega Turano, si poteva chiudere un occhio anche per quella siciliana.
Invece no. Oltre a pagare di più il carburante, pagheremo anche la cassa integrazione ai dipendenti rimasti senza lavoro, perché alla fine finirà così. Ma a proposito di pericolosi masochisti al governo, segnalo che a forza di sanzioni, le bollette continuano ad aumentare, mentre gli stipendi calano. L’altro ieri il governatore della Banca d’Italia, segnalando il problema dell’aumento dell’inflazione, che ormai sfiora il 7 per cento, si augurava che il fenomeno non innescasse una rischiosa rincorsa degli stipendi, perché questo farebbe sballare i conti dell’economia. In pratica, a sballare dovranno essere i conti delle famiglie, costrette a convivere con un potere d’acquisto che si riduce ogni giorno. Certo, si soffre in difesa della libertà dell’Ucraina, contro una criminale aggressione. Però qualcuno dovrebbe avere il coraggio di spiegare agli italiani che se finora hanno tirato la cinghia, da domani, grazie alle nuove sanzioni, la dovranno tirare di più.
Ps. Secondo le stime di Bloomberg, agenzia americana specializzata in analisi finanziarie, quest’anno le entrate della Russia aumenteranno di 300 miliardi di dollari, più o meno l’equivalente delle riserve che Usa ed Europa hanno congelato.