E per fortuna che, come ha ribadito Sergio Mattarella, sull’antifascismo è nientemeno che «doverosa l’unità popolare». Il fatto è che non c’è bisogno di tirare in mezzo Giorgia Meloni e la destra per scoprire l’esistenza di lacerazioni profondissime sul tema: tutte le placche smottano a sinistra, e il fronte progressista esce dall’ubriacatura retorica del 25 aprile fratturato come non mai. I cortocircuiti sono deflagrati concretamente nelle piazze e l’eco violenta ha imbrattato poi le pagine dei giornali e i dibattiti televisivi. Antico è lo scontro fra la Brigata ebraica e i movimenti filopalestinesi: stavolta lo strappo si è ulteriormente infiammato per via del disastro in corso a Gaza e ha prodotto un feroce scambio di cortesie fra cortei. «Assassini», gridavano gli uni; «terroristi», sbraitavano gli altri, ed era persino difficile capire chi stesse con chi e per che cosa in effetti stesse urlando. Ne è seguita immancabile polemica a mezzo stampa, con divergenti versioni su chi abbia cominciato a fare volare insulti e pure oggetti contundenti. Il manifesto e altri quotidiani di sinistra spessa sostengono che la Brigata ebraica abbia cominciato a lanciare latte e sassi; i giornali più istituzionali liquidano con imbarazzo il tutto dando notizia della consueta aggressione antisionista (o antisemita, a seconda dei gusti). E se nel Pd c’era chi si diceva «addolorato» per gli incresciosi fatti, i radicali di Potere al popolo accusavano i dem di essere tutt’uno con i fascioconservatori di governo. Sulla Stampa, intanto, Assia Neumann Dayan fustigava a manca e a manca: «In piazza», ha scritto, «c’erano i pro Pal contro la Brigata ebraica, contro il Pd, contro il fatto che ucraini e iraniani “dissidenti” (virgolette non mie) stessero prima di loro in corteo a Milano, pro Pal che però stanno insieme a universitari, gruppi transfemministi, Fridays for future; poi c’era la Brigata ebraica che stava contro i pro Pal, ma Brigata ebraica e pro Pal uniti contro l’Anpi, perché l’Anpi non è divisivo». Un bel quadretto.
Sembra proprio, insomma, che persino l’intramontabile collante antifascista - l’unico mastice che finora sia riuscito a tenere assieme i pezzi del variopinto vaso di Pandora sinistrorso rotto parecchi anni fa - cominci a perdere presa e tenuta. Certo, c'è sempre chi sventola lo spauracchio degli stivaloni in marcia. Ad esempio Antonio Scurati, il quale esibisce (giustamente, e per colpa di qualche zelante burocrate) i galloni della censura, ma che subito sfora parlando di derive antropologiche: «L’Europa occidentale, escludendo naturalmente i Balcani, ha vissuto il più lungo periodo di pace, prosperità, benessere che la storia dell’umanità ricordi», sostiene. «L’ottundersi della coscienza civica, una certa smobilitazione dell’impegno civile, un certo individualismo egoista, sono conseguenze in parte di questo grande privilegio. Il che è anche una benedizione, per carità. Non rimpiango i tempi in cui gli italiani erano costretti a decidere se vivere o morire per combattere. [...] Credo che il venir meno del sostegno morale alla lotta ucraina non dipenda da un calcolo ma piuttosto da apatia».
Solo che il sostegno morale all’Ucraina poco c’entra con l'ottundimento della coscienza civica, anzi i segni di ottundimento si ritrovano ampiamente nel dibattito paranoide e censorio che ha accompagnato il conflitto (con annessa caccia ai putiniani). Soprattutto, la questione ucraina nulla c’entra con l’antifascismo, anzi come noto sul campo a combattere per Kiev in prima fila c’erano fior di fascistoni del battaglione Azov. Dunque? Beh, a risolvere la questione e a smantellare un bel po’ della retorica esibita da Scurati ci ha pensato - sempre sulla Stampa e sempre da sinistra - Massimo Cacciari, uno che in questi anni non si è certo tirato indietro quando c’era da denunciare violazioni della libertà di movimento e di pensiero.
«Abbiamo una Costituzione bellissima perché è una Costituzione programmatica che si fonda sull’antifascismo e guarda avanti: promette la riduzione delle diseguaglianze sociali, il rispetto dei diritti delle persone, il ripudio della guerra come strumento per risolvere le controversie tra i popoli», attacca il filosofo, e fin qui nulla di troppo diverso dal discorso prevalente. Ma ecco lo scatto: «Le pare che stiamo rispettando questo programma? Per questo dico che fermarsi all’antifascismo e chiedere abiure generazionali è un modo per non parlare di oggi, la foglia di fico appunto».
Secondo Cacciari, la «Costituzione antifascista» imporrebbe «per esempio di trovare una soluzione di pace invece di alimentare le guerre. L’opposizione al nazifascismo fu anche opposizione a ideologie che avevano la guerra come programma e l’annientamento dei popoli come pratica. Non mi pare che stiamo andando in questa direzione». Conclusione fulminante: «L’unico che continua ostinatamente a sostenerlo è il Papa, una delle poche teste lucide rimaste. La sua dichiarazione sul fatto che stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzi è la definizione più calzante di quanto sta accadendo».
In poche righe, Cacciari ha demolito l'impianto retorico del 25 aprile e ha rimesso sul piatto tutti i temi epocali che separano quasi più le forze di sinistra che quelle di destra anche all'interno dell'arco costituzionale. Il bilancio della giornata di festa e di chiacchiere è allora chiaro e impietoso: l’antifascismo in assenza di fascismo e svuotato di significato non basta più a tenere insieme i cocci.