Non era nemmeno atterrato in Canada, dove ha fatto scalo per parlare col premier, Mark Carney, prima dell’incontro di oggi con Donald Trump, a Mar-a-Lago. Volodymyr Zelensky, a poche ore da decollo dalla Polonia, ieri è stato raggiunto dalla notizia di un’ennesima indagine della Nabu, l’Ufficio nazionale anticorruzione, e della Procura speciale Sapo, su un presunto giro di mazzette che coinvolgerebbe quattro parlamentari del suo partito. Si tratta, secondo Ukrainska Pravda, di Yevhen Pyvovarov, Ihor Nehulevskyi, Olha Savchenko e Yuriy Kisel, esponenti di Servitore del popolo.
Di quest’ultimo, un paio di settimane fa, si era appreso che l’authority lo aveva intercettato per oltre due anni. Kisel è in strettissimi rapporti con Serhiy Shefir, a sua volta cofondatore, insieme a Zelensky, della casa di produzione Kvartal 95. Le captazioni erano state interrotte di recente e lo stesso Kisel aveva scoperto solo dai giornali di essere sorvegliato. La nuova operazione non sarebbe collegata all’inchiesta sulle mazzette nel settore degli appalti energetici. Quella, per intenderci, da cui provenivano le famigerate foto dei cessi d’oro. Il sistema avrebbe avuto al vertice Timur Mindich, pure lui molto vicino al presidente: è il coproprietario di Kvartal 95. Il manager era fuggito in Israele pochi giorni prima che scoppiasse il bubbone e, il giorno di Santo Stefano, ha rilasciato un’intervista, sempre a Ukrainska Pravda, nella quale si è lamentato per la campagna mediatica che sarebbe stata imbastita contro di lui.
La Nabu, su Facebook, ha pubblicato una foto dei suoi funzionari, ai quali inizialmente era stato impedito l’accesso al Parlamento di Kiev dai gendarmi della Guardia nazionale. «Da notare», si leggeva nel post, «che l’ostruzione delle indagini è una diretta violazione della legge». I militari si sono giustificati citando le disposizioni della legge marziale e sottolineando che, in un secondo momento, ai detective è stato permesso di entrare nel «distretto governativo». L’Anticorruzione ritiene di aver individuato «un gruppo criminale organizzato, che includeva deputati in carica […]. Secondo le indagini, i membri del gruppo hanno ricevuto sistematicamente vantaggi impropri in cambio di voti nella Verkhovna Rada».
Zelensky, partito per la missione Oltreoceano, ha fatto sapere che la sua intenzione, prima e dopo il vertice con Trump, era di coordinarsi con gli alleati europei: «Non riconosceremo nulla a qualsiasi condizione», ha precisato. Il numero uno della resistenza aveva in programma un colloquio insieme ai leader di Italia, Germania, Francia, Regno Unito, Polonia, Finlandia, Svezia, Ue e Nato. Dopo la chiamata, il premier polacco, Donald Tusk ha ribadito che le garanzie di sicurezza per il Paese invaso saranno «cruciali» e che andranno rese «specifiche e affidabili».
Nella notte, Varsavia aveva fatto decollare i suoi caccia, durante i massicci bombardamenti russi sulla capitale ucraina, condotti anche con missili ipersonici, che hanno costretto la popolazione a trovare riparo nei rifugi sotterranei. I raid hanno ucciso un settantunenne e ferito altre 32 persone, tra cui due bambini, lasciando al buio oltre un milione di case. Un drone ucraino, invece, ha provocato la morte di un uomo nella regione russa del Kursk. Di qui, il reciproco scambio di accuse tra belligeranti di non voler rinunciare ai combattimenti. Emmanuel Macron, in predicato di parlare con Vladimir Putin, ha rinfacciato a Mosca la «determinazione» a «prolungare la guerra». Per Zelensky, lo zar non prende sul serio gli sforzi diplomatici. Giorgia Meloni, intanto, ha insistito sull’«importanza, mai come in questo momento, di mantenere l’unità di vedute tra partner europei, Ucraina e Stati Uniti per porre fine a quasi quattro anni di conflitto». Ursula von der Leyen ha chiesto di preservare «sovranità e integrità territoriale» dell’Ucraina, però accoglie «con favore tutti gli sforzi» volti a raggiungere «una pace giusta e duratura». È la formula magica con cui Bruxelles, fin qui, ha sabotato ogni soluzione diplomatica.
Il leader ucraino, durante il viaggio, ha affrontato la questione di un eventuale referendum sul piano di pace e delle elezioni presidenziali: «Non mi aggrappo alla poltrona», ha giurato, ma «ci devono essere un cielo sgombro», cioè privo di minacce aeree, «e sicurezza su tutto il nostro territorio».
In Florida, il comandante in capo ucraino, oggi, discuterà di garanzie di sicurezza (pare che gli Usa siano disposti a fornirne per 15 anni), di dimensioni dell’esercito (Kiev vuole mantenere 800.000 effettivi in tempo di pace), dello status dei territori contesi e della gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia, che gli americani vorrebbero controllata congiuntamente anche dai russi. Il bilaterale inizierà alle 15 locali, le 21 italiane. Non vi prenderanno parte rappresentanti del Vecchio continente. Risentiranno Zelensky al termine del faccia a faccia. Nella serata di venerdì, Trump aveva lasciato trasparire una certa impazienza: l’omologo ucraino, aveva avvertito, al netto degli annunci sulle «nuove idee» per porre fine al conflitto, «non ha nulla di concreto se non lo approvo io».
Ieri, il responsabile della Direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraino, Kyrylo Budanov, ha ipotizzato che il prossimo febbraio si aprirà una finestra per raggiungere la tregua. A suo avviso, la difficoltà per i nemici di reclutare ancora soldati a contratto, combinata con l’approssimarsi della bella stagione, potrebbe facilitare la cessazione delle ostilità.
Zelensky, dal canto suo, sarà pure disinteressato allo scranno, ma non ai quattrini. E mentre si va scoperchiando l’ennesimo scandalo, torna a battere cassa: «Stimiamo», ha spiegato ieri, «che la ricostruzione richiederà circa 700-800 miliardi di dollari». Un oceano in cui potranno sguazzare certi suoi connazionali squali.
Chissà che fine hanno fatto gli amici di Mohammad Hannoun, quelli che amavano partecipare alle sue manifestazioni e scattarsi selfie al suo fianco. Ieri, dopo l’arresto del presidente dell’associazione dei palestinesi in Italia, ho trascorso ore passando in rassegna le agenzie di stampa alla ricerca di una dichiarazione in favore di colui che, secondo gli inquirenti, era a capo di un’organizzazione che finanziava i terroristi di Hamas. Con la scusa di raccogliere fondi per la popolazione di Gaza, Hannoun e i suoi complici (in totale a finire in manette sono state nove persone) avrebbero dirottato nelle casse del partito armato più di 7 milioni di euro.
Soldi ottenuti promettendo di usarli in aiuti ai palestinesi, per realizzare desalinizzatori che consentissero di far arrivare acqua potabile nei campi profughi. In realtà, le donazioni servivano a pagare gli stipendi dei miliziani, oppure a sostenere le famiglie degli attentatori o dei detenuti. Dare soldi ad Hannoun, in pratica, significava darli ai terroristi ed è per questo che ieri all’alba i militari della Guardia di finanza, su disposizione della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo, hanno provveduto ad arrestare lui e i suoi principali collaboratori.
Nei mesi passati, dopo il 7 ottobre e l’inizio dell’invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano a caccia delle centinaia di persone sequestrate nel raid di Hamas, molti avevano imparato a riconoscere il volto di Hannoun come uno dei più rappresentativi della causa palestinese. Sempre in prima fila, sempre pronto rilasciare dichiarazioni negando qualsiasi collegamento con il movimento terroristico, l’architetto giordano da anni trapiantato in Italia, a Genova, era tenuto in grande considerazione. Da Laura Boldrini ad Alessandro Di Battista, da Nicola Fratoianni a Francesca Albanese, sono molti i compagni che nel tempo hanno marciato al suo fianco, prestando volentieri la propria immagine per la causa palestinese incarnata da Hannoun.
Eppure si sapeva che il presidente dell’associazione dei palestinesi in Italia era una figura controversa, da tempo chiacchierata per una sospetta vicinanza al movimento terroristico autore della strage del 7 ottobre. Il nostro Giacomo Amadori sulla Verità se n’è occupato spesso. E Fausto Biloslavo su Panorama ha scritto almeno una decina di articoli, segnalando le accuse che gli venivano rivolte di essere un collettore di fondi pro Hamas. Curiosamente, nonostante i molti dubbi sulle sue attività non fossero ristretti ai soli inquirenti, nessuno tra chi allegramente prestava il proprio volto per le campagne pro Pal si è fatto troppi problemi nell’averlo a fianco. Nessuno si è chiesto se esistessero elementi in grado di far sospettare che tra il filo palestinese Hannoun e certi ambienti anarco-insurrezionalisti ci fosse un pericoloso collegamento.
Eppure era evidente che alcune manifestazioni pro Pal non fossero proprio spontanee. Si capiva che i numerosi scontri con la polizia non erano casuali, ma apparivano coordinati da una specie di regia. Ma a sinistra hanno preferito non vedere, ignorando non soltanto numerose evidenze, ma anche chiudendo gli occhi sulle sempre più dettagliate inchieste giornalistiche. Hannoun era un testimone della tragedia palestinese da portare in palmo di mano. Anzi, da sostenere a pugno chiuso. Così siamo arrivati agli arresti di ieri, ma soprattutto ai silenzi di oggi di chi fino a ieri, come Francesca Albanese, si faceva ritrarre al suo fianco, felice di combattere per la causa comune di Gaza.
Alessandro Morelli: «Ora si cambi il decreto Ucraina. L’Ue non boicotti la pace di Trump»
Alessandro Morelli, non è passata inosservata ad alcuni fotografi una sua smorfia di dolore mentre partecipava ai lavori della legge di bilancio fra i banchi della Lega. Pure a lei questa legge non piace?
«Assolutamente no. La smorfia di dolore è legata al fatto che alle Olimpiadi Invernali di febbraio io sto dando letteralmente anima e corpo».
Eh?
«Visitando i cantieri a Livigno per le Olimpiadi e per la Coppa del Mondo di sci (tenutasi ieri, Ndr) sono caduto e purtroppo mi sono rotto tre costole. Ma il giorno dopo ero a votare a Roma (tossisce, Ndr)».
Fa male tossire con le costole rotte. Vero?
«Ancora peggio starnutire».Perché manca il controllo. Un po’ come alla Lega che al Senato ha addirittura dato battaglia al suo ministro Giorgetti. Sicuro che va tutto bene?
«La Lega è solo una, con un unico leader: Matteo. Detto ciò, abbiamo due responsabilità: una di governo - che avvertiamo tutti - e una nei confronti dei nostri elettori».
Giù le mani dalle pensioni quindi…
«In realtà ancora una volta abbiamo trovato la quadra in questa legge di bilancio. Il Governo raggiunge i suoi obiettivi e gli obiettivi Lega sono stati raggiunti. Un segno di maturità nella discussione. Nessuna becera spaccatura».
Il Parlamento avrebbe fatto il suo lavoro. Anche se per poche ore. Solita legge di bilancio calata da Palazzo Chigi. Discussioni zero...
«L’opposizione dice che non si è dato il tempo di discutere».
Questo è vero, su!
«No! E le dico perché. È la settima legge di bilancio che io voto. È una di quelle che in assoluto ha avuto la maggiore discussione parlamentare. Tenga conto che la legge di bilancio si cucina in Commissione. E qui la discussione è stata ampia e approfondita. Come non mai. Poi la legge viene servita in aula. E qui i tempi sono più compressi. Ma la Commissione è Parlamento».
Ponte sullo Stretto. Avete rinunciato a un po’ di fondi per dare più soldi alle imprese.
«Ancora una volta il buonsenso di chi sa governare. Per non sollevare dubbi avremmo potuto lasciare lì quei fondi».
Ma?
«Ma il momentaneo stop della Corte dei conti non ci ha consentito spendere quanto avevamo preventivato nel 2025 (732 milioni) e da bravi amministratori abbiamo spostato quella cifra negli anni successivi. Dove avevamo previsto di spendere molto di più. E questo di più si aggiunge alle coperture extra di questa legge di bilancio. Il ministro Giorgetti ha abilmente sfruttato un ulteriore spazio di manovra».
È anche così che avete racimolato ulteriori 3,5 miliardi. Ieri il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami ha detto che ci sarà un intervento a favore dell’Ucraina a 360 gradi. Quindi vuol dire aiuti militari. E su questo la Lega ne ha fatto una battaglia identitaria. Cosa ci dobbiamo aspettare dal prossimo decreto Ucraina?
«Che nei 360 gradi ci sia un’assoluta priorità per gli investimenti legati alla difesa delle popolazioni civili. Quindi, per esempio, a strumenti che possono permettere anche la sopravvivenza in situazioni chiaramente di guerra. Pensiamo alla possibilità di produzione energetica, di riscaldamento o d’altro. Nei 360 gradi ci sta un’assoluta priorità relativamente alla difesa e alla tutela dei civili. Coerente con i nostri obiettivi. Per noi è fondamentale innanzitutto cambiare il decreto nella sua struttura. Che non sia fotocopia dei precedenti. Siamo in un momento, vedi l’incontro fra Trump e Zelensky, dove l’iniziativa diplomatica è sempre più avanzata. Fortunatamente in questo caso non abbiamo una flottiglia fra i piedi che per esigenze di visibilità mette i bastoni fra le ruote al processo di pace»
Però, le dico il mio pensiero, c’è l’Unione europea a mettersi nel mezzo. Un finanziamento da 90 miliardi per le esigenze belliche non aiuta secondo me il raggiungimento della pace. Mentre i servizi ucraini avrebbero smascherato un gruppo criminale organizzato per lucrare sugli aiuti. Dentro il quale ci starebbero anche alcuni deputati ucraini.
«Il problema è rappresentato sì dai 90 miliardi, ma ancora peggio dalla posizione che l’Europa continua ad avere. È rimasta a guardare i leader mondiali e non hanno giocato d’anticipo neppure sui leader europei. Ennesima prova che l’Ue è costruita su basi finanziarie più che politiche. L’auspicio è che ora Bruxelles non si metta di traverso di fronte agli sforzi di Trump».
Ultima domanda: Mohammad Hannoun, capo dei palestinesi in Italia, con l’accusa di collateralismo ad Hamas. Sotto sotto vi piace inchiodare l’opposizione alla manifesta vicinanza con questo soggetto.
«Il problema non è tanto Hannoun. Quanto piuttosto la connivenza della sinistra con una strategia politica che sta portando l’estremismo islamico dentro ai confini d’Europa. Cosa che sta avvenendo oramai da anni. I Fratelli musulmani sono considerati terroristi in molti Paesi arabi e invece sono spesso accolti a braccia aperte da noi E questa è solo la punta dell’iceberg. Questo è un caso puramente politico. Questa operazione che dimostra l’altissimo livello di efficienza del Ministero dell’Interno in tutte le sue compagini, dall’altra parte però ci palesa come una buona parte della sinistra sia connivente con frange sicuramente ostili alla nostra cultura e alla nostra politica. Consideri che ci siamo assuefatti alla violenza purtroppo. E glielo dice uno che per aver criticato questo mondo oggi ha le spalle guardate dai poliziotti. Quando arriva un ordine dall’alto pronunciato da un imam, a quel punto chiunque si sente autorizzato ad agire».
Una corsa a chi è più zelante nel realizzare quell’ordine…
«Consideri che i familiari di chi si sacrifica per obbedire all’ordine (oppure viene arrestato) viene poi sostenuta e finanziata dalle organizzazioni. Abitudine questa tipica nelle associazioni criminali organizzate come la mafia».










