Ha parlato circa due ore e tre quarti. E ha scritto un pezzo di storia di questo Paese. Il procuratore di Caltanissetta Salvo De Luca, in commissione Antimafia, ha ricostruito l’indagine monstre che sta portando avanti con i suoi pm sulle cause della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui persero la vita l’allora procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino e la sua scorta.
E ha confermato ciò che le indiscrezioni giornalistiche (soprattutto di questo giornale) aveva già fatto in parte trapelare: il dossier mafia e appalti dei carabinieri del Ros è stata una concausa delle stragi, dal momento che per la Piovra andava affossato. Chi ci credeva è morto, chi ha alzato «una muraglia cinese» intorno a esso si è salvato. Ma le accuse più gravi sono state rivolte all’ex procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, e all’ex pm Giuseppe Pignatone (successivamente destinato a una folgorante carriera). De Luca ha spiegato che le precondizioni dell’uccisione di Falcone e Borsellino erano state il loro isolamento e la loro sovraesposizione. E come si era arrivati a questa situazione? Semplicemente affidando le leve della Procura a un uomo come Giammanco con parenti mafiosi, compreso un cugino «accoscato» di Bagheria, la terra di Bernardo Provenzano, e un nipote imprenditore che si spartiva gli appalti con le cosche. De Luca contesta a Giammanco anche l’«ostentata» amicizia con il politico in odore di mafia Mario D’Acquisto e la pazza idea di presenziare insieme con i suoi pm ai funerali di Salvo Lima. Non sono mancate le stoccate all’ex fedele collaboratore di Giammanco, Pignatone, che ha vissuto dai 14 ai 27 anni, quando era già entrato in magistratura, in un condominio infestato da mafiosi, la palazzina di via Uditore 7 C. Qui c’erano 14 appartamenti: 8 occupati dalla famiglia di don Vincenzo Piazza e 4 dai Pignatone.
L’ex presidente del Tribunale del Vaticano ha assicurato che i rapporti tra i due gruppi erano solo «formali» per «le differenze sociali e culturali». Ma De Luca ha pescato nei suoi ricordi e ha sostenuto che in quegli anni, nei condomini, i rapporti erano improntati alla massima condivisione. Nella stessa via viveva anche un altro personaggio che è stato condannato definitivamente per mafia, Francesco Bonura, a sua volta cognato dei fratelli Salvatore e Antonino Buscemi, il primo dei quali diventerà capo mandamento.
E proprio Piazza, Bonura e Buscemi costituiranno l’immobiliare Raffaello, da cui, tra il 1978 e il 1983 i Pignatone acquisteranno 26 immobili, tra appartamenti, box, cantine e negozi. Comprano da «un capo mandamento, un capo famiglia e un associato», ha evidenziato De Luca, aggiungendo che poche altre ditte a Palermo avevano una compagine così compromessa: «Una riunione di questa società poteva comportare un arresto in flagranza per associazione mafiosa». Il procuratore ha citato anche un’intercettazione che i nostri lettori già conoscono. Risale al 22 ottobre 2024 e in essa il boss Bonura (tuttora in carcere) afferma: «A Pignatone gli abbiamo venduto le case. Io mi ricordo la madre di Pignatone, mi prendeva a braccetto: andiamo a vedere qua, andiamo là; sì signora, sì signora...».
Quando De Luca gli ha letto queste parole, durante il suo interrogatorio, Pignatone ha protestato: «Mia madre, buonanima, era una persona cordiale». L’audito ha anche ricordato che l’ex procuratore di Roma, quando Bonura viene arrestato per un duplice omicidio di mafia, anziché interrompere gli acquisti dalla Raffaello, si astiene nel procedimento. Ma il capo degli inquirenti nisseni ha rimarcato come Pignatone non abbia fatto la stessa prudente scelta quando c’è stato da indagare, agli arbori del dossier del Ros, sugli affari della Sirap, un ente pubblico chiamato a gestire mille miliardi di lire in appalti, una diligenza assaltata dalla mafia. La Sirap era partecipata dalla Espi presieduta da babbo Pignatone, chiacchierato politico dc e, secondo De Luca, «era probabile» che in quell’indagine, «emergessero fatti sul padre». Ma ciò non avrebbe sconsigliato Pignatone dal trattare quel fascicolo.
Tali intrecci pericolosi, secondo gli inquirenti nisseni, rendevano incompatibile Pignatone con la Procura di Palermo, o «quanto meno avrebbero dovuto impedirgli di avvicinarsi a qualunque procedimento riguardasse mafia e appalti, i Buscemi, Bonura e Piazza». De Luca ha anche ricordato che già nella relazione di opposizione del 1976 in Antimafia erano citati Bonura e Piazza e in quella del 1988 si spiegava che Pignatone senior «avrebbe tenuto un comizio voluto da Calogero dall’onorevole Calogero Vizzini in cui si esaltava la virtù della mafia diversa dalla delinquenza». Di fronte a un simile quadro, De Luca ha scandito: «Questa situazione di assoluta inopportunità in cui hanno esercitato le loro funzioni Giammanco e Pignatone ha contribuito grandemente a sovraesporre Falcone e Borsellino».
Il procuratore è stato tranciante, seppur negando di essere guidato da «mero moralismo», anche sul fatto che Pignatone abbia confessato di avere versato in nero circa 20 milioni per l’acquisto della casa, «rendendosi conto della pochezza del prezzo pagato». Il magistrato siciliano ha sintetizzato il suo lavoro: «Dobbiamo vedere in che situazione di inopportunità si va a ficcare una persona». Un approfondimento che ha portato a queste conclusioni: «Pignatone afferma di avere pagato 20 milioni in nero al capo mandamento Salvatore Buscemi. Non è un reato perché si tratta di un pagamento sottosoglia, è un illecito amministrativo […], ma è un’evasione fiscale fatta con il capo mandamento di Passo di Rigano Boccadifalco».
Diversi collaboratori di giustizia hanno citato Giammanco e Pignatone come magistrati vicini alle cosche, se non addirittura a disposizione. Lo stragista pentito Giovanni Brusca, a giugno ha detto ai magistrati nisseni: «Ho sentito della famiglia Pignatone, Salvatore Riina diceva che erano vicini ai Buscemi... ho saputo da Pino Lipari o da Totò Riina che i Buscemi avevano a disposizione il magistrato Pignatone, si diceva anche che il dottor Pignatone fosse stato trattato bene dai Buscemi in occasione di un acquisto di un appartamento».
Pignatone ha liquidato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia come semplice «chiacchiericcio». Ma De Luca ha deciso di scoprire se lui e Giammanco «abbiano offerto un’immagine all’esterno che ha dato luogo a queste v sa nostra».E in commissione ha illustrato quanto certi comportamenti disinvolti di magistrati come Pignatone e Giammanco potrebbero avere danneggiato Falcone e Borsellino: se qualcuno si è «posto in una posizione assolutamente inopportuna», dando alla mafia l’impressione che in Procura ci fosse «una dirigenza debole, malleabile o addirittura corrotta», ebbene, quelle persone avrebbero, come detto, sovraesposto «enormemente chi, invece, veniva ritenuto incorruttibile, inflessibile». De Luca ha riportato quello che potrebbero avere pensato i boss: «Con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non c’è niente da fare. Fermiamoli, tanto con gli altri non abbiamo problemi».
A questo punto De Luca ha passato in rassegna le posizioni di Giammanco (morto nel 2017), Pignatone (indagato) e di Guido Lo Forte, che, però, nonostante abbia comperato casa dalla Raffaello e lavorato gomito a gomito con Pignatone non è stato iscritto sul registro delle notizie di reato perché non è stato chiamato in causa dai collaboratori di giustizia e, dopo l’addio di Giammanco, ha chiesto l’arresto di Antonino Buscemi. Una mossa che a giudizio del procuratore dimostrerebbe che «non aveva interesse personale a proteggerlo».
Diversa la gestione, sotto la regia di Pignatone, di fascicoli fondamentali sugli affari dei Buscemi con il gruppo Ferruzzi nelle cave di marmo di Carrara.
De Luca ha ricordato un dogma di Falcone (mega indagini, piccoli processi), completamente tradito da queste inchieste, in cui le investigazioni procedevano a compartimenti stagni e non c’era reale condivisione delle informazioni. De Luca non si spiega come il fascicolo «doppione» sui Buscemi, aperto grazie alle carte arrivate dalla Procura di Massa Carrara, sia rimasto praticamente «occulto». Il titolare ufficiale era Gioacchino Natoli, il quale, pur appartenendo a una corrente progressista, era perfettamente allineato con il moderato Pignatone e avrebbe nascosto al Csm quanto di sua conoscenza sui rapporti conflittuali tra Giammanco e Falcone, da quest’ultimo denunciati anche in una riunione di corrente.
Quanto alla sottovalutazione del dossier mafia appalti e all’archiviazione del filone principale, chiesta da Roberto Scarpinato e Lo Forte, De Luca non è stato tenero: «In due anni non è stata fatta una sola indagine su Antonino Buscemi».
Il procuratore ha giudicato «singolare» il fatto che l’attuale senatore del Movimento 5 stelle e membro della commissione Antimafia «si sia rimesso alle valutazioni di Lo Forte» su Buscemi e alla sua decisione di chiedere l’archiviazione asserendo che sul boss «non c’era assolutamente nulla» (una motivazione bollata da De Luca come «inaccettabile»), mentre contemporaneamente portava avanti una richiesta di misura di prevenzione nei confronti dello stesso soggetto e in tale fascicolo «diligentemente» aveva raccolto le carte di Massa e le dichiarazioni dei pentiti nei suoi confronti. Ma con quel tipo di proscioglimento «come puoi portare avanti la misura di prevenzione?», si è chiesto l’audito. «Un’affermazione del genere fatta dalla Procura rende inidonea la prosecuzione di un procedimento per una misura di prevenzione». Per De Luca, Scarpinato o doveva mandare in archivio entrambi i procedimenti o, viste le sue conoscenze, portare avanti anche il fascicolo penale. «La diligenza del senatore Scarpinato è molto apprezzabile in sede di misura di prevenzione, però, è in contraddizione con l'atteggiamento mantenuto in sede penale».
Il procuratore ha bocciato anche la pista nera seguita dal parlamentare grillino quando era pg di Palermo. Lo ha accusato di «essersi fatto un’indagine sulle stragi» alla vigilia del congedo per pensionamento, senza coordinarsi con Caltanissetta («l’unica procura che aveva la competenza sulle stragi»), violando così l’articolo 11 del codice di procedura penale.
Ma al contrario di quanto accaduto per mafia e appalti, quando Scarpinato «ha prospettato questo filone», De Luca & c. avrebbero iniziato a indagare con entusiasmo, salvo «rendersi conto» che quell’indagine «valeva zero tagliato», come ha confermato un gip non appiattito sulle posizioni della Procura. Ma questo non significa che «Stefano Delle Chiaie (l’estremista chiamato in causa da Scarpinato, ndr) non possa avere avuto un ruolo […] visto che uno stragismo di destra storicamente in Italia c’è stato», ha concesso De Luca, annunciando che c’è «un’ulteriore pista nera che stiamo approfondendo e che potrebbe dare esiti».
Non è vero che la Ue non serve a niente. E neppure che di questo passo, se non cambia qualche cosa, fila dritta verso il crac, come peraltro ha spiegato perfino Mario Draghi prima di Donald Trump. L’Unione europea serve a fare ricchi i suoi funzionari, i quali non corrono certo il pericolo di andare in bancarotta. Anzi, secondo quanto rivelato dal quotidiano tedesco Bild (di proprietà del gruppo Springer, è il giornale più venduto e letto d’Europa) anche questo Natale i burocrati di Bruxelles hanno motivo per fregarsi le mani, rallegrandosi per aver ottenuto l’ottavo aumento di stipendio in tre anni. Ne beneficeranno tutti i 67.000 dipendenti dell’Unione, sia quelli in servizio che quelli in pensione, i quali si vedranno riconosciuti retroattivamente, con calcolo dal 1° luglio, un aumento di stipendio del 3%. In totale, dal 2022 a oggi, fa il 22,8% in più, per un costo aggiuntivo del solo ultimo incremento di 365 milioni di euro all’anno.
Mica male, considerando che la maggior parte dei lavoratori italiani deve invece fare i conti con una perdita del potere d’acquisto del proprio stipendio che non è affatto compensata da incrementi salariali. Nel 2024, i dipendenti della Ue avrebbero dovuto ricevere aumenti dell’8,5%, ma il «regalo» era sembrato fin troppo generoso, al punto che anche la Commissione guidata da Ursula von der Leyen aveva invitato a moderare le pretese, contenendo la crescita degli emolumenti nel 7,3%. Ma poi, ad aprile scorso, ecco il conguaglio, con un riconoscimento supplementare per tutto il 2024 di un 1,2%.
La causa di questi continui aggiornamenti di stipendio è la temutissima inflazione, che da noi, e più in generale in tutta Europa, si vuole tenere bassa a colpi di aumento dei tassi d’interesse. Ma a Bruxelles è rincorsa da una specie di scala mobile, che consente di tenere il passo con il carovita. L’ufficio statistico europeo, noto come Eurostat, infatti, tiene d’occhio i rincari tra Bruxelles e il Lussemburgo e poi aggiorna gli stipendi, affinché il potere d’acquisto degli euroburocrati non subisca alcun calo. Per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, anche appunto raffreddando i consumi con una decrescita infelice degli stipendi, ma se si tratta dei funzionari della Ue il discorso non vale: per loro scatta il salvagente dell’adeguamento salariale, affinché non debbano tirare troppo la cinghia come fanno tutti i comuni mortali che, risiedendo in Europa, sono tenuti a fare i conti con le politiche demenziali dell’Unione in materia di transizione ambientale, riarmo e burocrazia.
Vi state chiedendo che cosa guadagni un funzionario della Ue? La Bild ha provveduto a calcolare quanto incassino i dipendenti in servizio a palazzo Berlaymont e negli uffici connessi. Al gradino più basso, escluse le indennità esentasse, un commesso si metterà in tasca 3.750 euro, 110 dei quali sono frutto dell’ultimo aumento. Per chi invece ricopre funzioni più elevate, gli emolumenti sono ancor più generosi e si può arrivare anche a 25.986 euro, 760 dei quali si aggiungeranno con lo stipendio di dicembre ma moltiplicati per sei per consentire al burocrate di percepire pure gli arretrati accumulati da luglio in poi.
A questo punto immagino che molti di voi si stiano chiedendo quanto diamo a Ursula von der Leyen, se chi le sta intorno nell’olimpo di Bruxelles sfiora i 26.000 euro al mese. La risposta l’ha data sempre la Bild, calcolando che, grazie all’ultimo aumento di 1.000 euro al mese, la presidente della Ue è giunta a sfiorare i 36.000 euro: 35.800 per l’esattezza. E i commissari? Anche con loro l’Unione è generosa: 850 euro di «aggiornamento» per un totale 29.250 euro.
Riepilogando, l’Europa dei parametri di Maastricht, che fissa paletti inviolabili circa la spesa pubblica, funziona solo per i sudditi della Ue, mentre per i signori di Bruxelles non conta e questo fa capire che, se non si inverte la rotta, la barca dell’Unione prima o poi finirà per schiantarsi sugli scogli della realtà.
Dimenticavo: come dicevo, gli aumenti di cui sopra andranno a beneficio anche di 30.000 pensionati. Tanto per farvi capire su che razza di bomba siamo seduti, oggi il costo dei funzionari Ue a riposo è pari a 2,4 miliardi l’anno, ma nel 2045 questi signori ci costeranno 3,2 miliardi. Sempre che Eurostat non adegui al rialzo gli stipendi del 22% come ha fatto nell’ultimo triennio.
È donna e, benché nata in una famiglia modesta, è riuscita ad affermarsi come una delle tenniste più vincente di sempre, portandosi a casa 64 prove del Grande Slam: 24 in singolare, 19 in doppio e 21 in doppio misto. Avrebbe insomma tutte le carte in regola - tanto più in tempi in cui l’empowerment femminile attira tanta attenzione culturale e mediatica - per essere indicata a modello delle giovani di tutto il mondo, l’australiana Margaret Court. Eppure la leggendaria campionessa, che oggi ha 83 anni, ai giorni nostri è come dimenticata; di più: è evitata quasi come la peste. Tanto che, quando Oliver Brown del Telegraph ha scelto di dialogarci nei giorni scorsi, lei era quasi incredula: «Sei il primo giornalista ad intervistarmi in questo modo da anni. Gli australiani preferirebbero che il mio nome sparisse». Curiosamente, perfino il mondo del tennis sembra averla rimossa.
Il francese Patrick Mouratoglou, allenatore di Serena Williams, ha liquidato i suoi 24 titoli dello Slam come appartenenti a un’«era diversa», con il tennis ancora amatoriale fino al 1968 e meno giocatori internazionali disposti a viaggiare. Che la Court godesse però pure di molti meno privilegi rispetto alle atlete odierno, appoggiandosi ad alberghi ad una stella e non avendo certo un team di massaggiatori e psicologi, a quanto pare, conta nulla. Il pensiero di Mouratoglou non deve essere solo il suo, dato che la leggendaria tennista non è stata più invitata né al Roland Garros né agli Us Open - tornei che ha vinto cinque volte ciascuno - negli ultimi 15 anni. «Per qualunque altro campione di pedigree simile, un trattamento così sprezzante sarebbe impensabile», osserva Brown. Ed è vero.
Ma come mai Margaret Court è così dimenticata, snobbata, perfino evitata quasi avesse la peste? La sua non più verde età non basta certo a spiegare un simile atteggiamento. Che, come ben sottolinea il Telegraph, ha una radice ben precisa: la sua contrarietà alle rivendicazioni Lgbt - in primo luogo alle nozze gay. Era difatti l’anno 2013 quando l’ex tennista, a proposito del figlio della tennista australiana Casey Dellacqua e della sua compagna Amanda Judd, commentò: «Mi rattrista vedere che questo bambino è apparentemente privato di un padre». Non l’avesse mai detto. Attorno alla vincitrice di 64 Slam s’è creato il gelo. E la cosa è peggiorata quattro anni dopo, quando ha annunciato il boicottaggio di Qantas Airways Limited, la compagnia di bandiera australiana, per via del suo sostegno alla causa arcobaleno. La tennista - diventata, dopo il ritiro, pastore d’una congregazione - ha confidato a Brown anche la sua preoccupazione per l’educazione oggi data ai giovani: «I valori cristiani sono stati eliminati dalle scuole. Alcuni bambini non sanno nemmeno più se sono maschi o femmine. E questo è ciò che mi turba, perché guardo alla mia vita e da giovane ero un maschiaccio».
Quest’indole non ha però mai instillato nella Court nessun dubbio circa la sua identità sessuale: «Giocavo a football e a cricket, e battevo tutti i ragazzi. Ma sapevo comunque che i miei due fratelli erano diversi da me. Ora ci sono bambine che dicono: “Mi sento un ragazzo”». Forte, per questo motivo, la contrarietà della donna alle terapie ormonali sui ragazzi affetti da disforia di genere: «Restano intrappolati nei loro corpi e non possono tornare indietro. Cosa stiamo facendo ai nostri giovani?». Margaret Court è trattata come una reietta in patria così come anche nel mondo dello sport, probabilmente, pure per il suo punto di vista sull’Islam, che ricorda quello di Oriana Fallaci: «Ci sono moschee ovunque in Inghilterra. Pensiamo di non avere nulla di cui preoccuparci? Dobbiamo intervenire presto». Un peccato non sia più ascoltata, una che nonostante l’età è ancora capace di simili colpi di racchetta.
Dopo gli sberloni assestati al marito, Brigitte Macron viene beccata mentre dà delle «brutte stronze» a un gruppetto di femministe e ancora una volta l’irruenza della prèmiere dame diventa virale. La consorte del presidente francese, che a maggio era stata immortalata mentre appioppava uno schiaffo a Emmanuel Macron pochi istanti prima di scendere dall’aereo ad Hanoi con una scena diventata tormentone (era davvero un ceffone o si trattava di un buffetto?), sta dividendo il popolo d’Oltralpe tra critiche feroci e apprezzamenti per la sua franchezza.
Questi i fatti. Sabato sera, alcune attiviste del collettivo femminista NousToutes, indossando maschere con l’immagine dell’umorista Ary Abittan avevano interrotto lo spettacolo dell’attore nel locale parigino Folies Bergère, scandendo lo slogan «Abittan stupratore». L’interprete cinquantunenne di film come Non sposate le mie figlie o Liberté, egalité, fraternité, nel 2021 era stato accusato da una giovane di 23 anni che allora frequentava di averla costretto ad avere rapporti sessuali non consensuali. Scomparso dalla scena pubblica, nell’aprile del 2024 Abittan aveva ottenuto l’archiviazione delle accuse, sentenza di non luogo a precedere confermata a gennaio di quest’anno. Per la Corte d’Appello di Parigi, dopo un’indagine durata oltre tre anni mancavano «prove serie o coerenti». Le testimonianze delle ex fidanzate lo avevano descritto come «un partner rispettoso», e le valutazioni psichiatriche e psicologiche escludevano «una sessualità deviante o impulsi sessuali aggressivi».
Certo, nulla esclude che la sera oggetto dell’accusa l’attore sia stato davvero violento, ma un tribunale ha archiviato il caso. Alle femministe poco importa, ritengono Abittan uno stupratore e da quando ha ripreso a recitare a ogni suo spettacolo inscenano proteste, chiedendo che le sue esibizioni vengano cancellate. Così è accaduto anche sabato scorso per Authentique, evento così presentato: «A 50 anni, tra paternità, amore e resilienza, Ary rivela le sue riflessioni sulle relazioni e sull’infanzia, intrecciando abilmente risate e momenti di autentica emozione».
Domenica sera, la signora Macron è andata a vedere lo spettacolo con la figlia Tiphaine Auziere e ha parlato con Abittan prima che salisse sul palco, secondo un video pubblicato lunedì dal sito di gossip Public e poi cancellato. Le immagini, riprese dai social, mostrano la moglie del presidente nel backstage mentre si avvicina sorridendo all’umorista e gli chiede: «Allora come stai?». «Ho paura», risponde lui. «Paura di che cosa?», ribatte madame. «Di tutto». «Se ci sono delle brutte stronze le sbatteremo fuori», lo rassicura Brigitte Macron ridendo. «Dici?», fa lui. «Soprattutto banditi mascherati», aggiunge la prèmiere dame.
Apriti cielo. Su Instagram, dove ha ripreso il video, il collettivo NousToutes scrive che «il sostegno pubblico a un uomo in un caso così inquietante sia un segnale disastroso inviato alle vittime di abusi sessuali». «Denunciamo l’ampia comunicazione volta a posizionarlo come individuo traumatizzato, umiliando e disprezzando la vittima», prosegue il post. «Denunciamo gli auditorium che fanno un tappeto rosso agli uomini accusati di stupro, normalizzazione della violenza sessista e sessuale. È un insulto pubblico alle vittime. Vittime vi crediamo, stupratori non vi perdoneremo!». Un’attivista che ha preso parte all’azione e ha usato lo pseudonimo di Gwen ha affermato che il collettivo è rimasto «profondamente scioccato e scandalizzato» dal linguaggio della signora Macron. «È l’ennesimo insulto alle vittime e ai gruppi femministi», ha affermato. Abittan resta colpevole per le femministe francesi e la moglie del presidente l’avrebbe fatta grossa, prendendo le sue difese. Inutilmente il team della first lady ha affermato che la critica era solo per il «metodo radicale» di protesta del collettivo che «indossando maschere, ha interrotto lo spettacolo sabato sera per impedire all’artista di esibirsi».
Però le critiche si sono rapidamente spostate sul piano politico. «Abbiamo iniziato con i diritti delle donne come “grande causa del mandato quinquennale”, e stiamo finendo con gli insulti», ha dichiarato su X Manon Aubry, eurodeputata di France Unbowed, la sinistra radicale. «È ora che la coppia Macron se ne vada». L’ex presidente francese, Francois Hollande, ai microfoni di radio Rtl, ha rimproverato la signora di essersi espressa con «volgarità». Ha detto: «Ci possono essere forme di protesta che ci urtano. Ma bisogna provare, quando si ha una funzione, una responsabilità, una presenza, di cercare la pacificazione e non ricercare l’escalation verbale». Per poi aggiungere che però «in Francia non esiste uno statuto di première dame. È libera, madame Macron, di dire ciò che pensa».
Brigitte, che già deve difendersi da anni dalle maldicenze che la vogliono uomo, travestito, addirittura padre dei suoi tre figli avuti dal primo marito André-Louis Auzière, adesso deve spiegare che non era sua intenzione prendere le difese di uno stupratore. Judith Godrèche, l’attrice francese che ha chiesto un’indagine sugli abusi sessuali nel cinema francese, è intervenuta su Instagram per criticarla. «Anch’io sono una stupida stronza. E sostengo tutti gli altri», ha scritto.
Il deputato del Rassemblement National, Jean-Philippe Tanguy, afferma invece che i commenti della moglie del presidente sono stati pronunciati in privato e «rubati». L’Eliseo, intanto, cerca di tamponare: la consorte del presidente «non sta in alcun modo attaccando una causa», fa sapere.









